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IV Gamma in crisi: chi, cosa e come

Leggendo la cronaca con un’attenzione specifica sembra evidente che il settore della IV Gamma sia in crisi. Ricordiamo che la IV Gamma è quella categoria di prodotti che comprende insalate, ortaggi (specialmente carote e broccoli) e frutta lavati, mondati e tagliati e, quindi, pronti al consumo. Sono prodotti confezionati in contenitori sigillati (plastica) con atmosfera modificata e mantenuti a temperatura controllata. Si tratta quindi di ortofrutta che, giunta dai luoghi di coltivazione (in campo aperto o in ambiente controllato), subisce in appositi stabilimenti una serie di lavorazioni sino al packaging. Proprio due nomi storici attivi da decenni in queste lavorazioni, prima Cultiva in provincia di Rovigo e poi Il Melograno di Santarcangelo di Romagna, hanno chiuso i battenti nel mese di giugno a distanza di pochi giorni l’uno dall’altro.



Ma cosa sta succedendo? I vegetali pronti da consumare non piacciono più? A guardare i dati, non è proprio così. A NovelFarm lo scorso febbraio ISMEA, l’ente che si occupa della sorveglianza e il monitoraggio dei mercati agroalimentari, aveva presentato la fotografia del settore in altro modo. Tra il 2019 ed il 2022, il prezzo medio del prodotto IV Gamma è calato dai 6,83 cent per chilo ai 6,59, con una diminuzione di valore di circa 50 milioni di euro sui volumi venduti. Questo nonostante si sia verificato un aumento della spesa per queste referenze che ha superato il miliardo di euro nel 2022 (1.012 milioni), segnando un +4,4% sul 2021. In quantità, gli italiani hanno acquistato nel 2022 157,3 milioni di kg di prodotti di IV Gamma, recuperando e superando il dato del 2019, pre-pandemia, quando ne avevano acquistati 142,5 milioni. In quattro anni, però, la marginalità dei prodotti è in media significativamente scesa, con punte critiche di un -24% per le carote e di -4,3% per insalate e radicchi. Quindi, aumento delle quantità e aumento dei ricavi totali, ma discesa dei margini. Ciò significa che i prezzi sono rimasti fermi, anche se l’inflazione ha viaggiato nel 2022 a oltre l’8% (e molto di più se si considerano i settori ortofrutta ed alimentari).


Quindi non è vero che la IV Gamma non piace più. E allora, perché le aziende (quelle di lavorazione) chiudono? Un primo fatto sembra essere l’eccesso di offerta, non tanto di volume ma di produttori. Massimo Bragotto, titolare della società di consulenza di MBS|360 attivo nella IV Gamma da 18 anni e per qualche tempo direttore generale di Cultiva, lo ricordava a NovelFarm. Oggi sono circa 120 le aziende che operano nel settore con un proprio prodotto finito, alcuni a marchio ma per la maggior parte fornito come private label/marca del distributore che nel settore pesa per il 70% del mercato. A questo fattore si aggiunge che “il problema non sono solo l’aumento dei costi o la contrazione dei consumi; tutta la filiera non ha saputo interpretare a pieno i bisogni, le esigenze e le possibilità di sviluppo reali. Il consumatore appare confuso, apprezza il prodotto di servizio quando assicura qualità, sicurezza, continuità, ma si trova anche di fronte ormai da troppi anni le stesse insalate, perché cambiare mix di ingredienti o il semplice formato non è vera innovazione, il consumatore non crede come una volta nel mercato”. Quindi, concorrenza nell’offerta, ma offerta schiacciata verso il basso. E poca innovazione, sembra di capire. Eppure Cultiva tra il 2019 e il 2022 ha innovato moltissimo, sia in prodotto che in processo. Giusto un anno fa presentava al mercato le insalate Tailor Made, ossia fatte su richiesta della GDO per intercettare i bisogni del suo specifico consumatore finale. La linea includeva tutto il possibile, varietà più classiche o mix particolari, in convenzionale o biologico, per rispondere esattamente a tutte le richieste di varietà, formato, grammatura e taglio. Ebbene, la chiusura dello stabilimento Cultiva, secondo dichiarazioni ufficiali della proprietà, è stata precipitato per l’interruzione delle forniture ad un grandissimo player GDO che è passato ad un concorrente con prezzi più bassi. Nel 2019-2020, anche un altro cliente private label dell’azienda, questa volta industriale, ossia Valfrutta Fresco, era passato ad un concorrente a prezzi più bassi, l’Op San Lidano, nell’Agro Pontino in provincia di Latina.


La solita ricerca di margini da parte della GDO intenta ad alzare i prezzi e comprimere i fornitori ricorrendo a produttori a basso costo? Spiegazione troppo semplice, forse. Rosario Rago componente della giunta nazionale di Confagricoltura e a capo di Rago Group, uno dei maggiori operatori della Piana del Sele in Campania, ha una spiegazione più complessa e vale la pena citarlo verbatim dall’intervista a FreshCut News (che peraltro ha organizzato con noi la sessione suulla IV Gamma a NovelFarm): “Per le buste d’insalata (…) siamo ancorati alla logica dello 0,99 euro, mentre tutti gli altri ambiti del food, tutti i generi di prima necessità, come pasta e conserve di pomodoro, hanno registrato aumenti sensibili. Una busta d’insalata non dovrebbe costare meno di 1,49 euro. Il ritocco serve, e serve subito (…) La filiera è ferita, afferma Rago, ed è in affanno perché tutti i costi a monte sono aumentati.” E poi c’è il tema della carenza di prodotto: “Nel Fucino, a causa del maltempo, mancano scarola, pan di zucchero, spinaci, radicchio: tutto extra price, tutto molto costoso. La nostra azienda in questo periodo sta lavorando a margine zero se non in perdita. Per questo, anche per questo dico: ripensiamo subito i listini. E blocchiamo le promozioni in GDO sulle insalate in busta, che sono pura follia”. Quindi, operazioni anti-inflazione della GDO sulle spalle dei fornitori di IV Gamma, surrettiziamente ridotta a commodity da prodotto d’indirizzo.



Come risponde la GDO? A NovelFarm il responsabile freschissimi di COOP Italia Claudio Mazzini, che è anche vicepresidente dell’organismo interprofessionale Ortofrutta Italia, aveva accusato: “Abbiamo un problema di contenuto, contenuti e contenitore. Con il primo termine ricomprendo tipologia di prodotto, qualità e costanza di fornitura; con il secondo, ciò che viene comunicato e quello che si potrebbe dire; con il terzo, infine, il packaging, l’aspetto estetico, le dimensioni”. Sotto accusa eccesso di offerta, non sempre qualificata, scarsa distintività e sindrome low cost con il risultato che esiste “un problema di posizionamento e competizione orizzontale tra i canali distributivi, con schiacciamento della scala prezzi e della redditività per l’intera filiera”. Quindi, gli hard discount sarebbero i colpevoli perché puntano in modo esasperato sul prezzo basso da cui si originerebbe un effetto di trascinamento al ribasso. Secondo Mazzini nella filiera c’è una crisi di strategia: “Non si possono dare gli stessi prodotti a tutti perché si innesca la sindrome del low cost; serve distinguere i prodotti a seconda dei canali distributivi e serve anche fare un po’ più di innovazione”. In conclusione “si deve cercare più coesione di strategie all’interno del settore, perseguendo soluzioni con la reciprocità al centro”.


Sempre ricordando che si tratta di un mercato dove il 70% è in mano alle marche del distributore, azzardiamo una traduzione di quanto sopra: gli hard discount stanno erodendo drammaticamente le quote della GDO tradizionale, specie di quelle catene storicamente a bassa redditività, e questo avviene anche nella IV Gamma. La risposta sarebbe escludere i discounter dall’accesso a prodotti di gamma media ed alta che dovrebbero essere riservati a un patto tra fornitori e distributori. Un accordo che potrebbe funzionare? E a favore di chi? Notiamo solo che COOP Italia ha dichiarato l’anno scorso che la sua direzione strategica è di controllare direttamente con marca del distributore una quota crescente del venduto, dall’attuale 22-25% al 50%, segno che la volontà è recuperare margini occupando altri anelli della catena del valore. Ci si attende una battaglia ancora più aspra con i discounter.


A questo punto, la domanda da porre ai produttori di IV Gamma è: invece di farsi trascinare in questa guerra, non sarebbe meglio agire in prima battuta sui costi di lavorazione? Proprio la vicenda Cultiva è rivelatrice. L’azienda rodigina ha abbandonato sì la lavorazione diretta (circa un terzo del fatturato), ma continua con la produzione primaria e, per garantire i contratti in essere in Italia e all’estero, ha concluso un accordo con SAB (Società Agricola Bergamasca) negli stabilimenti della quale verranno effettuate le lavorazioni in IV Gamma. A sua volta SAB viene da un processo di ristrutturazione dopo che nel 2019 gli azionisti di un altro player, Mioorto, avevano acquistato il 50% delle quota di SAB per 3 milioni, generando un gruppo da 100 milioni di fatturato. Insomma, margini in calo ed eccesso di fornitori stanno provocando il consolidamento delle capacità produttiva.


Ma i costi attaccabili sono anche altri. Oggi il prezzo d’acquisito di una busta in IV Gamma incorpora circa un 17% di logistica distributiva (dallo stabilimento di lavorazione alle piattaforme distributive) a carico del produttore. Se si aggiunge la logistica di primo miglio (dal luogo di produzione primaria allo stabilimento) si arriva e si supera il 30%. Con picchi ancora più alti, perché la pratica della GDO (tutta) continua a essere la riduzione delle dimensioni degli ordini e la loro riprogrammazione. La conseguenza è che spesso i camion viaggiano molto meno che a pieno carico.



Come può essere d’aiuto il fuorisuolo in genere, e il vertical farming in particolare, per consentire alla IV Gamma di abbattere i costi? Innanzitutto, una serra hi-tech, quindi isolata dall’ambiente esterno, e ancor più una vertical farm, non sono sensibili alle condizioni atmosferiche. Sul fronte dell’acqua, il consumo è decisamente minore (si arriva al 98% in meno con l’aeroponica), mentre fertilizzanti, anticrittogamici e antiparassitari sono necessari da poco a nulla. Il maggior numero di cicli di coltivazione permette di modulare la produzione sia in quantità che in varietà secondo le esigenze e le richieste del mercato, anche per il totale controllo delle condizioni ambientali e di crescita. Dal punto di vista logistico, una serra hi-tech o una vertical farm possono essere collocate nei pressi dello stabilimento di lavorazione e, possibilmente, nei pressi dei centri di consumo.


Certo, il costo a parità di prodotto, anche incorporando tutti questi risparmi, è ancora a sfavore del fuorisuolo e del vertical farming, essenzialmente per due componenti: il capex, ossia i costi in costo capitale, e i costi dell’energia. Sui secondi, esistono strumenti per comprimerli, ricorrendo all’autoproduzione. Per i primi notiamo che per concedere finanza per investimenti in fuorisuolo e vertical farming si usano, soprattutto in Italia, criteri industriali, mentre ci sono ampie agevolazioni, anche europee, per chi si butta nella IV Gamma per vedere come va.

Ma allora, perché la IV Gamma è in crisi? Sospendiamo il giudizio. Ci accontentiamo di avere evidenziato come la risposta non sia semplice.


 

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