Tra la fine di giugno e l’inizio di questo mese si è tenuta la seconda edizione di MID.MED Shipping & Energy Forum organizzata da Clickutility Team e The International Propeller Club Port of Palermo, per cui noi abbiamo fornito i contenuti e l’agenda dei convegni. Come dice il nome dell’evento, eravamo sul nostro terreno, essendo quelli due dei nostri campi d’elezione. MID.MED si è svolto in una cornice di assoluto rilievo: il Palazzo dei Normanni a Palermo, sede dell’Assemblea Regionale Siciliana, che ci teniamo a ringraziare ancora per l’ospitalità.
Uno degli argomenti dell’evento era, come si diceva, l’energia, cui era dedicata una sessione importante e che riappariva qua e là in diverse altre. Quello che è stato detto dai diversi relatori, sia locali che nazionali, mi ha spinto a fare delle riflessioni sul futuro della produzione energetica in Italia, di cui la Sicilia è un microcosmo in cui vengono spesso sperimentate soluzioni (anche in politica) poi riprese a livello nazionale.
La prima riflessione è che la transizione energetica è, appunto, una transizione, anche se da una parte la si considera come un’inutile perdita di tempo e dall’altra come una sciagura da allontanare il più possibile. Questo indipendentemente dagli effettivi contenuti e tempi e da quello che può accadere durante il periodo che va da ora al 2050, secondo i piani europei. Ma, guardando dai finestroni dell’ex-Palazzo Reale di Palermo, è chiaro invece che proprio quello può accadere nei prossimi 28 anni deve sempre entrare nell’equazione. Spiegando meglio: la Sicilia si trova contemporaneamente a galleggiare su un discreto serbatoio di gas naturale e a essere circondata da notevoli flussi di vento costante. Ebbene, la prima di queste risorse potrebbe essere messa a frutto per compensare il primo dei tanti “cigni neri” che ci aspettano: l’improvvisa scoperta che il rischio geopolitico della dipendenza da Paesi potenzialmente ostili per le forniture di gas via tubo è troppo alto. Contro l’intensificazione delle estrazioni si schierano le associazioni ambientaliste e invece sono a favore i comuni, che guadagnano dall’IMU delle piattaforme.
La Sicilia ospita anche un esempio di fallimento di un’altra azione in grado di ridurre la dipendenza dai tubi: il rigassificatore di Porto Empedocle, autorizzato illo tempore, colpevolmente lasciato fermo dai promotori (perché era più interessante comprare dai Russi) e ora retroattivamente bloccato dalla locale Sovrintendenza. A MID.MED non se ne è parlato (forse per carità di patria), ma lo stesso meccanismo si sta mettendo in moto per l’altra risorsa siciliana. A Porto Empedocle il busillis è la casa natale di Pirandello, al largo della Sicilia sud-occidentale sono il Banco Scherchi e il Banco Talbot, due affioramenti rocciosi che si favoleggia nasconderebbero tesori archeologici rappresentati dai relitti di navi puniche. Se non bastasse, si invoca la difesa della biodiversità e della pesca messe in pericolo dalle turbine eoliche. I rilievi effettuati dalla stazione Anton Dohrn di Napoli non hanno però trovato i tesori archeologici e hanno messo in evidenza invece che i fondali sono per il 65% privi di vita, a causa di decenni di pesca a strascico indiscriminata. Le turbine, essendo galleggianti e solo ancorate al fondo (che va dai 100 ai 700 metri) potrebbero invece essere d’aiuto alla biodiversità costituendo delle oasi (ogni turbina dista 3,5 chilometri dalla più vicina). Per il parco eolico offshore sono schierate a favore le maggiori associazioni ambientaliste e sono invece contrari i comuni. Le turbine sarebbero fuori dalle acque territoriali ma all’interno della Zona Economica Esclusiva italiana. E quindi niente IMU, se ne desume.
I comuni potrebbero rientrare nella partita perché l’energia elettrica generata dalle turbine va portata a terra con dei cavi sottomarini che da qualche parte devono attraccare, con possibili introitii da affitti e compensazioni, oltre alla Santa IMU. Per ora le posizioni sono congelate. Eppure, una transizione ordinata, che non provochi aumenti dei prezzi dell’energia e quindi ne affossi il grado di approvazione nei cittadini, dovrebbe essere interesse di tutti. Non si tratta di un problema locale ma nazionale. Il Governo nazionale però non riesce o non vuole fare da arbitro e conciliatore, che non vuol dire accontentare tutti ma arrivare all’obiettivo tenendo conto dei legittimi interessi. A Palermo si bisbigliava che l’opposizione di molti comuni all’eolico offshore derivi non tanto dalle turbine quanto dai cavi, che impedirebbero per esempio la pesca a strascico. Già oggi regolarmente i pescherecci tranciano i cavi dati per andare a pescare in zone interdette sperando di trovare qualcosa da tirar su. Ma incastrarsi in un cavo a doppia armatura in corrente continua a 500.000 volt non è la stessa cosa. Se questo fosse vero, sarebbe il classico caso di coda che agita il cane (the tail wagging the dog, per gli anglofili).
La seconda considerazione è che la transizione energetica non può essere monotecnologia. Normalmente questa condizione viene definita technology-neutral. Sembrerebbe ovvio, vista la dimensione di quello che si vuole fare che non è decarbonizzare il sistema di generazione elettrica, e nemmeno quello energetico, ma rendere carbon neutral l’intera società. Quindi ci vuole, come sta avvenendo in Sicilia, il fotovoltaico galleggiante sui bacini di raccolta dell’acqua (come quello di Lentini), che peraltro ne riducono anche l’evaporazione, facendo ombra. Ci vogliono anche gli accumuli legati agli impianti fotovoltaici, per rendere una fonte non programmabile almeno in parte programmabile. Ma non tutto deve essere per forza generazione elettrica. Una delle industrie più difficili da decarbonizzare è quella chimica. Ebbene, utilizzando i rifiuti non digestabili è possibile produrre syngas, gas di sintesi, da cui partire per produrre idrogeno ma anche intermedi come metanolo, DME, dimetilcarbonato (da cui si ricavano i policarbonati e un elettrolita per le batterie al litio), etanolo, etilacetato e così via. Un esempio di economia circolare, tra l’altro. Tutto questo è l’obiettivo dell’impianto di gassificazione che Asja dovrebbe realizzare a Gela con tecnologia NextChem in risposta ad un bando della Regione Siciliana. Diciamo “dovrebbe” perché, nonostante l’impianto non sia nemmeno lontanamente un termovalorizzatore e il suo “cibo” vada comunque smaltito in qualche modo (ossia in discarica), è in pieno corso un’alzata di scudi da parte degli ambientalisti (tra cui si distingue Legambiente Sicilia) e dei loro partiti di riferimento.
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