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Viva la canola! Si riduce ancora l’impatto ambientale dell’acquacoltura

Il maggior impatto ambientale indiretto dell’acquacoltura è costituito da come sono fatti i mangimi. Considerando che la maggior parte delle specie allevate in Europa sono carnivore, i mangimi sono per decenni stati fatti con altri pesci. Ciò vale soprattutto per quelle marine, le più ricche di Omega-3. Nel corso dei decenni si sono fatti enormi progressi, sia dovuti a nuove composizioni che alla maggiore conoscenza del metabolismo delle specie allevate. Si è passati quindi da diversi chilogrammi di pesce selvaggio utilizzato per produrre un chilogrammo di pesce allevato a rapporti più vicini alla parità che a 2.


Oggi si utilizza farina vegetale (soja soprattutto), farina d’insetti (in grande crescita, sembra anche che la chitina abbia effetti benefici sul microbioma dei pesci), biomassa algale, ma comunque il prelievo dai mari è ancora importante. Il problema sono gli Omega-3 che si trovano nel pesce azzurro, come le acciughe (secondo molti studiosi, e l’ipotesi è plausibile, la pratica sparizione delle acciughe dal Mar Nero deriva dalla sovracattura a fini di produzione mangimi non solo per pesci). Il paradosso è che il pesce non sintetizza in proprio gli Omega-3, ma li assume da altro pesce che mangia il krill e da altri animaletti del genere, che a sua volta li acquisiscono dal fitoplancton e dalle alghe, che ne sono i produttori primari. La spirulina, ricchissima di Omega-3, è un’alga d’acqua dolce. Anche alcune piante terrestri producono Omega-3 e da qui viene la novità di cui vogliamo parlare.



La canola è una varietà che venne ottenuta dalla colza in Manitoba nel 1974 tramite incroci e altre tecniche genetiche tradizionali. Ѐ falso affermare quindi che la canola sia un organismo transgenico all’origine. Solo nel 1995 è stata prodotta una varietà transgenica della colza introducendo la resistenza al glisofato. La prima varietà mutante di colza (non canola) ottenuta con tecniche non tradizionali, ovvero irraggiamento con raggi X ad alta potenza, risale ad un lavoro svedese del 1958. Tutte le tecniche mutageniche per irraggiamento, comprese quelle gamma, sono perfettamente legali per la biotecnofobica legislazione europea.


Tornando alla canola, il nome è in realtà un acronimo che sta per Canadian Oil Low Acid, riferito a un olio con meno del 2% di acido erucico, che è il lipide monoinsaturo che rende il consumo dell’olio di colza naturale dannoso per alcuni organi, tra cui il cuore. La componente lipidica della canola contiene anche gli Omega-3 e una serie di ricerche si sono concentrate sul produrre varietà con alte percentuali di quel tipo di grassi. Il genoma e l’epigenetica della colza sono particolarmente adatti allo sviluppo di varietà mirate nella composizione del suo olio utilizzando tutti i tipi di tecniche. Con quella tradizionale dell’ibridazione, la Nufeed, controllata dall’azienda agrobiotech australiana Nufarm Limited, ha messo a punto l’ibrido Nuseed Omega-3 Canola, ad alto contenuto di Omega-3. Il nuovo ibrido è la prima fonte terrestre con queste caratteristiche del prezioso lipide. Non è un caso che il primo estratto messo sul mercato in Europa, che ha appena avuto l’autorizzazione dal certificatore norvegese Norwegian Food Safety Authority (NFSA), sia Aquaterra® Omega-3 per l’utilizzo nei mangimi per pesce. Si tratta di una rivoluzione: 1-2 ettari coltivati a Nuseed Canola Omega-3 producono l’equivalente in acidi a catena lunga di 10.000 pesci pescati da un chilo. La canola cresce in ambiente collinare. Per sostituire completamente con essa la cattura di pesce per olio, 19 milioni di tonnellate, e considerando che non tutto il pesce catturato viene usato per l’olio, sarebbero necessari due milioni di ettari. Sembra una cifra enorme, ma si tratta di meno della superficie dedicata a colture “bio” in Italia. E in tal modo il 90% del pesce da olio pescato, quello adatto al consumo umano, sarebbe nuovamente disponibile per popolazioni come quelle africane a cui oggi viene sottratto.


 

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