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Anche i superyacht producono cibo

Cos’è? Una serra autosufficiente? Un superyacht a zero emissioni? Un’aula viaggiante per imparare come si coltiva high-tech? Tutto questo insieme. Almeno nelle intenzioni dello studio di design tedesco 3Deluxe che lo ha presentato all’ultimo Monaco Yacht Show dello scorso novembre. Si chiama VY.01 e per il momento è allo stadio concettuale.



L’idea di base è un superyacht di almeno di 100 metri con motori alimentati da energia elettrica prodotta con celle a combustibile a idrogeno. Le sovrastrutture, invece di ospitare i classici ambienti residenziali ed edonisti, sono occupati per il 60% della lunghezza da una serra che ricorda certi ambienti posti sui tetti di alcuni padiglioni di EXPO2015 (ricordate?). Il ponte di comando è a prua per lasciare appunto uno spazio ininterrotto che sfocia nell’area di poppa dove si trovano la piscina e il sundeck. L’area residenziale è al ponte inferiore.

L’areazione è ad aria esterna filtrata, mentre sui fianchi dell’area abitata una serie di pannelli servoassistiti si aprono e si chiudono per regolare la quantità di luce. L’acqua necessaria alle colture proviene da dissalatori alimentati a elettricità prodotta da pannelli solari. Le strutture metalliche sono in acciaio e alluminio prodotti e lavorati esclusivamente con energia rinnovabile. Le sovrastrutture hanno una forma aerodinamica, che ricorda certi progetti degli anni ’30 e ’70, quando lo stile streamlined era fortemente considerato. Naturalmente la maggior parte della resistenza al moto di un’imbarcazione è creata dallo scafo, ma i designer si limitano ad assicurare che ci hanno pensato.


I progettisti ritengono che la serra (e l’attività di pesca) produrrebbe abbastanza cibo da rendere autosufficiente l’imbarcazione. Quanto al committente, probabilmente non mancano i miliardari eccentrici che potrebbero trovare interessante navigare in stile naturale. 3Deluxe pensa anche a una forma di sharing che permetterebbe a studiosi e studenti di usare lo yacht quando il proprietario non naviga.



Va riconosciuto che i progettisti non nascondono le difficoltà. In un’intervista ad Agritecture, la società di consulenza sulle colture innovative che è partner di NovelFarm, Björn Asmussen, Executive Architect & Director dell’Ocean Department di 3Deluxe, le individua in quattro ambiti.


Il costo di costruzione e di gestione proprio per il numero di innovazioni tecnologiche sarà probabilmente elevato. Quanto più elevato rispetto a un superyacht tradizionale non è ancora possibile calcolarlo. Un fattore critico è l’acqua che richiederebbe un impianto di desalinizzazione più grande del normale e, di conseguenza, una fonte di energia importante. I pannelli solari, come in tutti questi casi, sono poco più che “per bellezza”. Se possiamo suggerire un rimedio, consiglieremmo di non pensare solo all’elettricità. Le celle a combustibile producono calore equivalente ad almeno il 40% dell’energia primaria immessa e si tratta di diverse centinaia di gradi. Il calore di scarto viene già usato in yacht e navi da crociera per alimentare gruppi frigoriferi ad assorbimento che usano acqua calda, ma si potrebbe anche dissalare l’acqua con un processo di vaporizzazione-condensazione, vista l‘energia termica a disposizione.


Nonostante sia uno scafo da 100 metri, non è certo che lo spazio sarebbe sufficiente. Per curare la serra e i giardini sarebbe necessario un equipaggio addizionale, di specialisti, sia in agricoltura protetta che in impianti. Più equipaggio significa più cabine e servizi. Più le dimensioni nello scafo crescono più cresce tutto il resto (a partire dal costo) e rapidamente il numero di possibili committenti scende. Forse la soluzione sarebbe di abbandonare il concetto di superyacht per creare qualcosa come i nuovi “superyacht residenziali”, resort galleggianti dove è possibile acquistare o affittare delle vere e proprie ville semoventi a un prezzo più basso di un superyacht equivalente e senza tutti i problemi di gestione.



Ci si pensa poco, ma le piante e quello che serve a farle vivere e crescere pesano, soprattutto se si vogliono inserire alberi a fusto come palme. E per un ingegnere navale il troppo peso in alto è anatema. Inoltre, anche con tutti i moderni ritrovati di miglioramento della stabilità, il mare mosso è mare mosso. Nel premiato Bosco Verticale, per evitare che le piante se ne vadano con lo spirare del vento, le radici sono fissate alla struttura con cavi e morsetti d’acciaio. E in pieno oceano il vento normalmente soffia molto più forte che a Milano, giornate di favonio escluse. Visto che stiamo parlando di biofilia, ci sentiamo autorizzati a protestare a nome delle piante.


Infine, la questione delle questioni. Quanto cibo è possibile produrre a bordo? Sarebbe sufficiente per dare da mangiare a passeggeri ed equipaggio? E per quanto tempo? I progettisti di 3Deluxe stanno capendo le sfide che pone una serra autosufficiente, con la complicazione che deve anche produrre molto, diverse colture e in continuazione. Quando arriveranno anche ad affrontare la questione degli scarti probabilmente scopriranno che, per quanto scenografiche, sarebbe meglio evitare di imbarcare palme e ricorrere al fuori suolo per la produzione. Ma intanto hanno pensato fuori dagli schemi. E noi per questo li seguiremo nell’evoluzione del loro progetto.


 

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