La vicenda del granchio blu, la cui popolazione pur presente da decenni nelle nostre acque (la prima segnalazione da Grado, nell’Alto Adriatico, è del 1949, solo due anni dopo la prima nel Mediterraneo) ha visto negli scorsi mesi un’esplosione di esemplari, più 2.000% (fonte il Sole24Ore).
Si è discusso sul perché di questa proliferazione dando spesso la colpa ai cambiamenti climatici e all’aumento della temperatura dell’acqua del Mediterraneo. Mi limito a far notare che il granchio reale blu atlantico, Callinectes sapidus, è naturalmente diffuso nelle coste dal Canada all’Argentina (vive in una gamma di temperature dell’acqua che va dai 3 ai 35 centigradi) e predilige la Baia di Chesapeake in Massachussets, dove c’è la famosa località di Martha’s Vineyard, non propriamente un ambiente tropicale.
I motivi per cui il granchio blu si è ultimamente moltiplicato da noi sono probabilmente altri. Innanzitutto, la grandissima versatilità della specie, nota per la sua capacità di adattarsi a diversi ambienti, rendendola particolarmente resistente e capace di colonizzare nuove aree (anche in acqua non salata). Aiuta anche la prolificità: una femmina depone 2 milioni di uova l’anno. Ma il fattore chiave è la mancanza di concorrenza e predatori naturali. In alcune aree del Mediterraneo, la sovrapesca ha portato a una diminuzione delle specie native creando una falla nell’ecosistema. Molte specie che si nutrono di questi granchi, in particolare quando sono giovani o di piccole dimensioni, per esempio varie specie di uccelli costieri e acquatici, vedono restringersi il proprio habitat,. Le varietà di pesci e molluschi predatori che nelle loro fasi larvali e giovanili mangiano le uova di granchio, come tamburi rossi, spigole striate, cernie, barracuda, razze, cefalopodi come i polpi, sono diminuite. Una spiegazione meno “popolare” e per questo non molto gettonata dai media.
Dove invece c’è accordo unanime è su come sono arrivati i granchi reali blu nel Mediterraneo, e cioè attraverso le acque di zavorra delle navi. Le navi da carico sono progettate per operare in determinate configurazioni ottimali per dislocamento, pescaggio e distribuzione dei pesi. Quando viaggiano in altre modalità è necessario caricare zavorra, che altro non è che acqua di mare. La zavorra comporta notevoli vantaggi per una nave. Innanzitutto, abbassando il baricentro migliora la stabilità trasversale contrastando il momento di rollio. In questo modo si riduce lo stress sulle strutture dello scafo, anche perché la sua presenza smorza le forze deformanti a diverse frequenze, impedendo che entrino in risonanza. E poi, migliora l’efficienza della propulsione e la manovrabilità (si può dire che aumenta il “grip”), e quindi complessivamente garantisce condizioni operative più sicure nel corso del viaggio.
Non c’è da stupirsi quindi se oggi tutte le navi utilizzano abbondantemente questo strumento. Quanto? Le stazze sono importanti: una superpetroliera ha una capacità di imbarco anche di 95.000 m3 di acqua di zavorra, una portacontainer da 14.000 TEU si “accontenta” di 20.000 m3. Ricordiamo che un metro cubo d’acqua di mare pesa circa una tonnellata. In un anno la flotta mercantile mondiale porta così in giro per gli oceani, prelevandola e scaricandola anche in diversi punti della rotta, dieci miliardi di tonnellate di acqua di mare.
E in essa si nascondono gli … alieni. L’acqua di zavorra viene conservata in serbatoi dedicati. Si può quindi considerare pulita ma, anche se non contiene idrocarburi e altri inquinanti, non è propriamente innocua. Con l’acqua infatti viaggiano molti passeggeri clandestini e indesiderati. Viste le dimensioni delle zavorre, il loro carico e scarico avviene attraverso prese e pompe di grande capacità. Le pompe di una superpetroliera “lavorano” 5.800 m3 l’ora. Le prese a mare sono dotate di griglie e filtri, ma le maglie non sono fittissime, pena riduzione della portata. Migliaia di specie marine possono così essere trasportate direttamente nelle acque di zavorra se di piccola taglia. Tra queste, batteri ed altri microbi (microalghe), piccoli invertebrati oppure, sotto forma di uova, cisti e larve. Praticamente tutte le specie marine hanno un ciclo di vita che include uno stadio di queste dimensioni e molte riescono a sopravvivere nelle acque di zavorra e nei sedimenti (se il caricamento della zavorra avviene in porto) trasportati dalle navi anche in viaggi di alcuni mesi. Ne consegue che, se le condizioni ambientali dove viene scaricata la zavorra sono favorevoli, le specie aliene possono riprodursi, e non avendo nemici naturali, moltiplicarsi. Così è arrivato il granchio blu.
Niente di nuovo, comunque. Dal 1900 ad oggi, nel mondo il numero di invasioni di specie aliene è aumentato di 5,5 volte. Alla fine degli anni ’80 il problema venne finalmente sollevato con forza da Canada e Australia. Dopo 14 anni di negoziati in sede IMO (International Maritime Organization) è stata promulgata la Convenzione Internazionale per il Controllo e la Gestione delle Acque di Zavorra. Entrata in vigore nel 2017 (il nostro intruso blu era già qui da 70 anni), è oggi ratificata da 88 Paesi tra cui l’Italia (Governo Conte 1, agosto 2019…). La Convenzione prevede che tutte le navi battenti bandiera di uno stato aderente, o di uno stato non aderente, ma che navigano nelle acque territoriali di uno stato aderente, debbano mantenere un registro delle operazioni di zavorra e avere un piano di gestione delle stesse acque che deve essere certificato in caso la nave superi le 400 tonnellate di stazza lorda. Dal punto di vista operativo, la convenzione prevede 2 standard principali per la gestione delle acque di zavorra. Quello D1 prevede lo scambio delle acque con un'efficienza volumetrica pari al 95% dell’imbarcato ad una distanza dalla costa di almeno 200 miglia marine, e in acque caratterizzate da una profondità di almeno 200 metri.
Lo standard D2 è molto più stringente e prevede l’utilizzo di un sistema di trattamento che deve soddisfare indicatori prestazionali basati sul numero massimo di organismi (per unità di volume) rimasto dopo il trattamento. La convenzione prevede un meccanismo di passaggio unidirezionale da D1 a D2. Il fatto che questo accada dipenderà molto dalla politica dei più grandi attori del commercio mondiale nel momento in cui decideranno che lo standard D2 diventi obbligatorio se si vuole attraccare nei loro porti A nessuno piacerebbe essere abbordato dalla Guardia Costiera americana e beccato con i serbatoi pieni di uova aliene…
Degli effetti della proliferazione del granchio blu nei nostri mari parleremo ad #AquaFarm i prossimi 14 e 15 febbraio: www.aquafarmexpo.it
Mentre di acqua di zavorra, economia circolare ed energia dello shipping parleremo l'11, 12 e 13 ottobre a #PortShippingTech a Genova: www.pstconference.it
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