top of page

Salvare il pianeta? Le alghe hanno 2,4 miliardi di anni di esperienza

Quindi rivolgiamoci a loro. Al di là delle battute, si sente spesso dire che le foreste equatoriali, in particolare quella amazzonica, siano il “polmone” del pianeta perché convertono l’anidride carbonica in ossigeno e fissano il carbonio nel legno delle piante. Se fosse così, bisognerebbe spiegare come funzionava il sistema quando durante i periodi freddi delle ere glaciali (noi oggi siamo in un periodo caldo, interglaciale, di un’era glaciale che è iniziata 2,4 milioni di anni fa) la maggior parte dell’Amazzonia era formata da un mosaico di savane e praterie solcato dai fiumi sulle cui rive crescevano le foreste a tunnel che oggi sono tipiche per esempio dell’Africa occidentale.



I veri polmoni del pianeta sono altri, fanno questo lavoro da almeno 2,4 miliardi di anni, sono responsabili della presenza dell’ossigeno nell’atmosfera e sono composti di organismi che vanno da dimensioni unicellulari a diversi metri, tutti raggruppati come alghe, anche se con queste hanno in comune solo il fatto che vivono in acqua e che usano la fotosintesi come mezzo principale di acquisizione di energia. Visto che non richiedono altri nutrienti, se non in minima parte, e come ambiente basta un volume d’acqua, è naturale che circoli da diverso tempo l’idea di utilizzare le coltivazioni di alghe per fissare (quindi sottrarre) CO2 dall’atmosfera, rilasciando ossigeno.


La start-up olandese Blue Kelp si concentra sulle grandi alghe, di cui appunto il kelp, un’alga bruna per il colore che ha allo stadio maturo, è un rappresentante. Il kelp, che si ritrova in tutto l’Atlantico, viene raccolto e utilizzato in diversi Paesi rivieraschi. Si mangia, si usa per aromatizzare la birra, per produrre concimi (è ricca di carbonio ed azoto), farmaci, cosmetici, principi attivi. In certe condizioni, le alghe brune crescono naturalmente in vere e proprie foreste. Blue Kelp ha deciso di “dare una mano” piantandone due a dieci metri di profondità sulle coste della Namibia, di fronte alla cittadina di Luderitz, cui fanno capo diverse miniere di diamanti.


Oltre a catturare CO2 e fornire un ambiente accogliente per gli organismi marini, le due foreste di kelp producono un impatto economico positivo in più di un modo.

Innanzitutto, la start-up ha trovato un metodo certificabile per misurare la CO2 catturata e quindi è in grado di accedere al mercato del Carbon Credits. In secondo luogo, le foreste sono gestite e periodicamente la parte apicale delle alghe viene prelevata per essere lavorata e per produrre cosmetici, pellicole per imballaggi alimentari biodegradabili e biostimolanti utilizzati per aumentare i raccolti e la resilienza alla siccità delle colture. Blue Kelp spera di arrivare a regime di produrre 150 tonnellate l’anno di molecole utili. E naturalmente di replicare l’esperienza.


Il terzo modo con cui l’esperienza porta benefici è quello sociale. La disoccupazione giovanile della Namibia arriva al 50%. Coltivare foreste di alghe poste in acque basse è un lavoro qualificato, ma che non richiede apparecchiature complesse, quindi è ideale per un Paese come la Namibia. Dare lavoro di qualità ai giovani è da sempre un modo per far procedere la società e quindi l’economia. (Peccato che il kelp non cresca bene nei mari italiani…)


(la foto non c'entra con l'articolo ma vogliamo farvi venire voglia di visitare la Namibia)



 

VUOI APPROFONDIRE ARGOMENTI DI TUO INTERESSE?

iscriviti e leggi la nostra newsletter mensile

39 visualizzazioni

Post recenti

Mostra tutti
bottom of page