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Aviazione elettrica, tra accelerazioni e improvvise frenate

Non dovremmo dirlo noi, ma il nostro Studio è stato cruciale per introdurre a livello di comunicazione in Italia il tema della Urban Air Mobility (2018), della Advanced Air Mobility (2019) e dell’aviazione decarbonizzata in genere. Oggi portiamo avanti i temi a tutto campo con la Conferenza Nazionale sulla mobilità aerea avanzata che ha già alle spalle quattro edizioni e di solito si colloca nei nostri eventi torinesi sulla mobilità di persone e merci. Nell’ambito dell’aviazione decarbonizzata creiamo e gestiamo buona parte dell’agenda di Air Mobility Show, un salone specializzato di Zeroemission a Roma.


Partiamo proprio da qui per fare alcune riflessioni sull’evoluzione di #UAM, #AAM e #eAviation.

La prima cosa che abbiamo imparato è che i tre termini non sono sinonimi.


Prendiamo l’aviazione decarbonizzata. I primi sforzi per lo sviluppo di tecnologie di propulsione aeronautica che non facessero uso di combustibili di origine fossile risalgono agli anni ’50 del 1900. L’obiettivo non era decarbonizzare ma produrre un combustibile con un contenuto energetico più elevato di quello degli idrocarburi. Le linee di ricerca e sviluppo furono due, una basata sull’uso dell’idrogeno puro e l’altra su composti di idrogeno e boro, i borani. Entrambi gli sviluppi erano finanziati dal dipartimento della difesa USA e dovevano soddisfare esigenze operative specifiche. L’idrogeno, trasportato in forma liquida, doveva essere il combustibile del successore dell’aereo da ricognizione U-2, come questo affidato agli Skunk Works con nome in codice Suntan. Il progetto venne interrotto dopo qualche anno per due motivi. Avendo l’idrogeno una densità più bassa degli idrocarburi, anche in forma liquida, l’aereo doveva essere molto grande. Per evitare che diventasse troppo grande (ad un certo punto gli studi erano arrivati ad un aereo lungo quanto un campo da calcio), la quantità di idrogeno trasportato non poteva superare una certa quantità, il che dava un raggio d’azione di 2000 KM. Per potere essere utile in missioni sull’URSS, le basi di partenza dovevano essere in località remote, dove avrebbe dovuto essere costruita un’infrastruttura di produzione e stoccaggio dell’idrogeno. In breve, pur con prestazioni velocistiche di tutto rispetto (Mach 2,7, circa 3000 KM/h in crociera) il Suntan era troppo complesso logisticamente.

L’altro progetto di combustibile carbon-free, gli ZIP fuel basati su composti di boro, per un periodo sembrarono la via del futuro. La loro densità era più alta dell’idrogeno ed avevano forma liquida. La densità energetica era molto elevata. I problemi presero però il sopravvento. Si scoprì che i borani avevano la tendenza ad auto incendiarsi in presenza d’ossigeno, per cui dovevano essere miscelati con idrocarburi, obbligando a mantenere due linee produttive e due catene logistiche. Poi, i borani stessi e gli scarichi della loro combustione sono tossici. Infine, e questa fu la fine, i residui di combustione intasavano rapidamente il sistema di alimentazione e gli scarichi stessi, costringendo a cicli di manutenzione frequentissimi. Nel 1959, il progetto venne chiuso.

Un ritorno d’interesse verso l’idrogeno come combustibile aereo si verificò a seguito dell’embargo petrolifero del 1973. L’obiettivo era di fare a meno del petrolio arabo. Nello stesso periodo e per tutta la successiva amministrazione Carter vennero messi in moto progetti per l’utilizzo del carbone per la sintesi degli idrocarburi. Il risultato delle ricerche guidate dalla NASA, e che ebbero anche qualche eco in Europa e URSS fu che l’utilizzo dell’idrogeno era possibile, ma restavano i problemi di logistica e di configurazione degli aerei (che erano in media circa grandi il doppio rispetto agli omologhi a idrocarburi). Il crollo del prezzo del petrolio fece svanire l’interesse una seconda volta, anche se altri progetti aeronautici nati dalla crisi petrolifera, come l’efficienza aereodinamica, i motori a bassi consumi e la riduzione del peso strutturale ebbero effetti duraturi e che si sentono anche oggi.

La terza rinascita della propulsione senza idrocarburi fossili è dei primi anni 2000, questa volta in gran parte con l’obiettivo della decarbonizzazione. È di questo periodo la nascita dell’interesse per la propulsione elettrica, con le celle a combustibile a idrogeno come fonte di elettricità. Le batterie arrivarono dopo e inizialmente come parte di soluzioni ibride. Solo alcuni esempi speciali, come i velivoli della Pipistrel, sono tutto batteria, e lo pagano in termini di autonomia e carico utile.


Propulsione elettrica e batterie sono invece al centro della quasi totalità dei progetti e dei prototipi di mobilità aerea urbana. Qui la genealogia è complessa e diversa. Dal punto di vista degli obiettivi si contano due visioni. La prima è l’auto volante, ossia un ibrido tra un’automobile terrestre ed un aereo, che a sua volta derivava dal boom dell’aviazione privata risalente alla fine della seconda guerra mondiale con l’enorme numero di aerei leggeri arrivati sul mercato dei surplus bellici, cui subito si aggiunse un’offerta ad hoc. L’aereo, e in misura minore l’elicottero privato, avrebbe dovuto rappresentare il nuovo stadio della motorizzazione di massa: dalle strade al cielo (per inciso, è anche l’epoca dell’esplosione della nautica da diporto). Perchè non fondere le due cose? Ed ecco l’auto volante, convertibile con un piccolo o grande sforzo. Tanti progetti e anche prototipi, anche qualche prodotto, ma con successo nullo. Difficoltà tecnologiche e regolamentari, ma soprattutto di costo e di praticità: finché l’auto volante partiva dalle campagne americane era fattibile; da un ambiente urbanizzato europeo, un po’ meno. E l’elicottero personale? Fermato dal costo di acquisto, operativo e di addestramento, e dal rumore. Si può anche pensare di decollare dal cortile, ma chi li sente i vicini?



Oltre all’auto volante, la seconda radice visionaria della UAM è il trasporto merci. La diffusione dei droni a decollo verticale nati in ambito militare prese intorno al 2004-2005 una via inaspettata perché venivano a maturazione tre tecnologie: elettronica di guida e sensoristica a basso costo, basso peso e basso consumo (e relativi standard wireless), motori elettrici leggeri, compatti e ad alta potenza specifica, in larga parte grazie all’utilizzo dei magneti permanenti, batterie più leggere delle tradizionali e con capacità sufficienti a garantire autonomie e carichi utili interessanti (comunque intorno al kg), a litio-polimero e poi a litio-ione. La stessa convergenza che poco più tardi produsse le eBike e i vari accrocchi di micromobilità (capostipite il Segway). La diffusione esplosiva dell’e-commerce sembrava mettere a disposizione un mercato già pronto per i droni cargo per ambiente urbano. La chiave era la silenziosità. Per raggiungere carichi utili interessanti, dell’ordine di un paio di decine di chili, l’uso del tutto elettrico non è la soluzione migliore perchè la frazione di carico scende rapidamente rispetto al peso totale (e alle dimensioni). Ma il tutto elettrico, almeno in volo, ha un vantaggio assoluto in ambito urbano: la silenziosità. Alla metà degli anni 2010 si intrapresero studi e sviluppi serissimi sulla possibilità di creare aerovie urbane frequentate da droni a pilotaggio remoto, prima cargo e poi con passeggeri, con frequenze di traffico spaventose, con separazione di dieci secondi tra un velivolo e l’altro. In questa fase rispuntò anche l’idea dell’auto convertibile volante, basata sul concetto di una capsula passeggeri capace di brevi spostamenti su sede dedicata che si attaccava ad un modulo volante che forniva la propulsione. Il concetto naufragò in modo imbarazzante quando la direzione del progetto passò dalle mani dei designer e degli aeronautici a quelle degli ingegneri della committente automobilistica. Il risultato fu un’utilitaria conforme a tutte le regole per circolare su strada appesa ad un elicottero di medie dimensioni e di varie tonnellate di peso.

Oggi la UAM in senso stretto si traduce in taxi volanti, detti anche eVTOL, che però è una descrizione tecnica, non funzionale. I droni cargo continuano il loro sviluppo in ambito periurbano o extraurbano, mentre i compositi sembrano tramontati (continuano in ambito cargo, ma su distanze regionali) e le auto restano delle curiosità di nicchia. Una è la Jetson (che prende il nome dalla serie di cartoni animati in Italia nota come I Pronipoti) che potrebbe avere successo in ambiti specifici.

I taxi volanti, alcuni dei quali sono vicini alla certificazione di volo, sono l’ultimo bastione della UAM e vanno avanti, anche per gli enormi capitali investiti, essenzialmente per l’uso come navette tra punti specifici, ad esempio aeroporto-centro città. Le autonomie sono sempre molto limitate (ora siamo sulla mezz’ora) che però se si considerano le riserve obbligatorie si riducono ad un quindicina di chilometri effettivi in volo a vista e con bel tempo. Insufficiente, almeno a mio parere, il carico utile: un passeggero e bagaglio leggero. Per il 2026/8 ci si aspetta una crescita a tre posti passeggero più il pilota, ma tutto ruota attorno alla disponibilità per quella data di batterie con una densità energetica molto maggiore di oggi. Bisogna poi considerare un paio d’anni per la certificazione.

La versione attuale degli air taxi eVTOL, per esempio il Volocopter VoloCity, dovrebbe essere certificato l’anno prossimo, non in tempo per operare durante le Olimpiadi di Parigi, per cui si ricorrerà a autorizzazioni temporanee. Saranno disponibili tre percorsi: Paris Charles De Gaulle - Paris-Le Bourget; eliporto Paris-Issy-les-Moulineaux - Saint-Cyr Reggia di Versaille; Paris-Issy-les-Moulineaux – nuovo vertiporto al ponte Austerlitz sulla Senna. Sembrano percorsi turistici dimostrativi piuttosto che funzionali ai Giochi. Nessuna possibilità di garantire il servizio di spoletta aerea sostenibile tra le sedi olimpiche invernali di Milano e Cortina nel febbraio 2026, mosse a sorpresa tipo l’acquisto di aerei elettrici regionali di prossima certificazione USA come gli Joby escluse.


Infine, l’Advanced Air Mobility, che la NASA, che ha coniato l’acronimo, definisce come un sistema di trasporto aereo che integri velivoli non-pilotati e pilotati, per trasporto merci e passeggeri, anche a decollo e atterraggio verticale, con propulsione elettrica o ibrida. L’#AAM include quindi la UAM ma si estende, e questo ci interessa, alla mobilità aerea regionale o suburbana.

L’idea di base della AAM non è volare decarbonizzato sulle campagne, ma decollare e atterrare da vertiporti e piccoli aeroporti posti vicino al centro della aree urbane collegando città vicine, sia grandi che di medie dimensioni (come Milano e Cortina o Milano e Genova) in modo silenzioso e a zero emissioni (in fase di decollo e atterraggio). Si tratta di una visione ricorrente. Nel corso dei decenni, la distanza tra aeroporti e centri cittadini è divenuta sempre più grande, e con essa i tempi di transito. Per brevi distanze, i tempi di volo sono oggi una frazione dei tempi di viaggio totali. L’AAM regionale mira a correggere questa deformazione che in passato sembrava sarebbe stata appannaggio degli elicotteri e di altri tipi di velivoli VTOL e STOL. Negli USA ma anche in Europa si fecero molti studi tra la fine dei ’60 e l’inizio dei ’70, tutti arenatisi su costo del carburante e soprattutto sul rumore. Oggi, l’AAM regionale ha in teoria la concorrenza dei treni ad alta velocità, ma i costi elevati di infrastruttura e la rapida discesa dell’efficienza al crescere delle fermate di questi ultimi non lasciano dire che la partita è chiusa. L’AAM è un servizio leggero, mentre l’alta velocità è pesante e fa fatica ad espandersi oltre le rotte a maggior traffico. La leggerezza deriva dal basso costo e impatto delle infrastrutture (basta il parcheggio di un centro commerciale come base), e di conseguenza la flessibilità possibile sui servizi per esempio a frequenze variabili su base stagionale o addirittura con algoritmi predittivi.


Insomma, ci siamo imbarcati cinque anni fa in un settore interessante, anche se embrionale. Intanto a Roma saranno presenti diversi dei protagonisti di cui abbiamo parlato, per esempio Pipistrel e Jetson. Venite a trovarci, il giorno 11 ottobre in mattinata, Padiglione 2 della Fiera di Roma, Sala Conferenze F, al mezzanino.


 

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