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Metalli rari come il litio e dove trovarli: in Italia! Sotto i vulcani spenti.

Da tempo si sapeva che tra i minerali disciolti nelle acque geotermali sono presenti anche sali di litio. Acque geotermali di cui l’Italia è ricca. Quando il metallo aveva poche applicazioni, l’interesse a estrarlo era nullo. Ora però molto è cambiato. Anche in Italia.



Il litio un tempo era utilizzato in diverse lavorazioni e prodotti industriali (vetro, ceramica. lubrificanti… ), ma anche come stabilizzatore per alcune malattie mentali (una famosa canzone dei Nirvana, Lithium, si riferisce al disturbo bipolare). Dai primi anni ’90 del secolo scorso le batterie sono progressivamente diventate il campo di applicazione dominante del metallo. La crescita dell’utilizzo per l’accumulo di energia, soprattutto con la diffusione dei veicoli elettrici, ha moltiplicato la domanda e la produzione. Il 2021 ha segnato il picco storico dell’estrazione del litio, con 100.000 tonnellate di litio metallico. In realtà già nel 2018 si era arrivati a 95.000 tonnellate, per poi scendere nei due anni successivi essenzialmente per un calo della domanda e un crollo dei prezzi.

In realtà parlare di litio metallico ha poco senso al di fuori di una questione strettamente statistica, in quanto si tratta di un elemento estremamente reattivo e per conservarlo senza che si degradi va tenuto immerso in un liquido inerte. In pratica, le forme in cui il litio è commerciato sono il carbonato, l’ossido e l’idrossido. Per avere la massa di carbonato bisogna moltiplicare quella di metallo per 5.323, per avere l’ossido per 2.153, per l’idrossido per 3.448. Diciamo questo perché spesso si trovano sui media notizie sull’estrazione, la domanda e l’utilizzo del litio dove le forme del materiale sono date come se fossero equivalenti. Di conseguenza poi si leggono analisi strampalate sul perché l’utilizzo di litio (carbonato) sia più alto delle estrazioni (metallo).



Nel 2021, secondo il consenso delle stime, il 75% per cento del litio disponibile è finito nelle batterie. Quindi, 75.000 tonnellate di metallo e 399.000 o poco più equivalenti di carbonato di litio. I dati di dettaglio confermano le stime generali. Secondo gli analisti di Adamas Intelligence, nel secondo semestre del 2021 nelle auto elettriche immatricolate nel mondo sono state impiegate 107.200 tonnellate equivalenti di carbonato di litio, anche se poi solo il 56% era effettivamente carbonato con l’idrossido al 44%.

La crescita prevista dei veicoli elettrici da qui a metà secolo per diversi anni ha fatto temere per la disponibilità di litio, ma ormai si tratta di una questione superata. Già solo con le attuali riserve confermate e con l’attuale livello di utilizzo nelle batterie (dagli 8 ai 10 chilogrammi per veicolo) si pensa di arrivare senza problemi a fine secolo, senza tenere conto di nuove scoperte e del riciclo che dal 2030 diventerà importante. Un problema però c’è. A differenza del petrolio, la gran parte della produzione del litio grezzo è molto concentrata. Il 90% è ascrivibile a Australia, Cina e Cile. Ancora più concentrata la lavorazione del grezzo, dove la Cina ha oltre il 60% del mercato. Motivi di sicurezza nelle forniture spingono quindi gli operatori, sia produttori di batterie che di veicoli, a cercare forniture alternative, il che spesso implica cercare anche risorse alternative.

Il litio oggi si ricava da miniere di minerale che lo contiene (come lo spodumene) o da sorgenti termali, dove è mescolato con altri sali portati in superficie dall’acqua. Negli ultimi anni è venuto alla ribalta il litio geotermico che va recuperato raggiungendo il livello delle acque bollenti in profondità, che vengono usate per esempio per produrre vapore e generare energia elettrica. Il litio geotermico potenzialmente si trova ovunque ci sia energia geotermica, anche in Europa. Negli Stati Uniti la maggior fonte di litio in attività si trova nelle salamoie degli impianti geotermici che circondano il Salton Sea, a est di Los Angeles.

La società tedesca Vulcan ha recentemente firmato un accordo vincolante per fornire a partire dal 2026 a Stellantis, o meglio alla francese SAFT, produttrice di batterie, fino a 99mila tonnellate di idrossido di litio da fonte geotermica. Inizialmente sembrava che il metallo sarebbe dovuto provenire da pozzi posti al confine tra Francia e Germania, ma un paio di mesi fa è arrivata la notizia che Vulcan ha ottenuto un primo permesso per cercare la materia prima (anche) nelle salamoie geotermiche del Lazio.

La presenza di litio geotermico nell’area non è infatti una novità. L’area del permesso di ricerca minerario, identificato con il nome “Cesano”, si trova nella regione vulcanica dei monti Sibillini, a pochi chilometri dal lago di Bracciano; ricade in un’area di 11,5 kmq nel Comune di Camagnano di Roma, che a sua volta fa parte della Città metropolitana di Roma capitale.



Nel 1975 fu l’Enel a scoprire un fluido geotermico d’interesse scavando il pozzo Cesano 1 fino a 1.390 metri di profondità, trovando una temperatura di circa 200°C e un contenuto di litio pari a 350-380 mg/L. Questi dati storici sulla concentrazione di litio sono tra i più alti a livello mondiale registrati in un ambiente geotermico con falda acquifera confinata.

Quasi in contemporanea anche Altamin Resources, società mineraria australiana attiva in tutto il mondo e in Italia, ha annunciato di avere ottenuto un permesso di ricerca. L’area è sempre quella di Camagnano, anche se le zone Altamin comprendono anche un settore più a sud, tra Cesano e Anguillara Sabazia (vedi mappa). Altamin tra l’alto presenterà i suoi progetti nel corso della sessione sui materiali per le batterie il giorno 13 aprile nell’ambito di E-TECH, di cui curiamo l’agenda delle conferenze.

Ma non finisce qui. L’Unione geotermica italiana (Ugi) da tempo sottolinea che in Emilia, Sardegna, Sicilia e Toscana si conoscono acque di minor temperatura con contenuti significativi di litio. E nella famosissima Lardarello, nel granito situato a poca profondità nel campo geotermico, è presente una mica (biotite) ricca in litio; si stima un contenuto di litio di circa 500g per m3 di roccia, comparabile a quello delle miniere australiane. Che l’Italia potesse diventare una (almeno media) potenza nel materiale chiave per la transizione ecologica nessuno lo credeva (e alcuni non lo gradirebbero, in Italia soprattutto). I treni però passano. Stavolta il biglietto ce l’abbiamo.


 

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