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Le smart car possono spiare? Certo, ma non sempre chi si lamenta è innocente.

Le auto connesse da sempre rappresentano una questione spinosa per la privacy. Basta vedere le liberatorie che vengono fatte firmare a chi, volente o nolente, deve installare una black box sulla propria auto o deve utilizzarne una così dotata. Oggi una smart car raccoglie e fornisce ai vari attori interessati (dalla casa produttrice all’assicurazione al noleggiatore) una miriade di dati: geolocalizzazione, velocità, consumi, pressione delle gomme, comportamento di guida, ma anche statistiche nell’utilizzo di contenuti del sistema di infotainment, numero di persone trasportate, carichi, ecc. Stiamo parlando di un’enorme quantità di dati provenienti da circa un centinaio di sensori, molti a bordo di powertrain, sospensioni, freni, pneumatici. Qualche anno fa McKinsey calcolava che per le auto più strumentate si tratta di un flusso di 25 GByte all’ora, un volume che sicuramente rappresenta un valore (e infatti in diverse occasioni come Studio abbiamo ospitato nei nostri eventi relazioni sul potenziale di monetizzazione di questi dati), ma anche un problema. Tant’è che uno dei campi più attivi nello sviluppo dell’edge computing è proprio quello del bordo veicolo, in modo da trasmettere non i singoli valori grezzi ma sintesi già elaborate, informazioni più che dati.


Se però i sensori di cui è dotata una smart car cominciano a guardare verso l’esterno e la sue comunicazioni sono anche con altri veicoli e con le infrastrutture, secondo i modelli V2X, la questione da relativa alla privacy diventa relativa alla security. Oggi una qualunque auto dotata, per esempio, di ausili alla guida e di un livello di autonomia anche basso, come il 2 della scala SAE, dispone di sensori che monitorano anche parzialmente l’ambiente esterno, per esempio telecamere, sensori di prossimità, sensori di umidità. Più si sale nella scala SAE, più l’auto monitora l’ambiente di guida (ossia quello esterno) con maggiore dettaglio. Per esempio, un radar anticollisione evoluto è in grado di mappare in 3D l’ambiente che rientra nel suo raggio e lo stesso è capace di fare un lidar. Molte auto cominciano anche a essere dotati di sensori audio, sia internamente che esternamente, per catturare comandi vocali ma anche per il vivavoce del telefono... Non solo, in modalità V2V, vehicle to vehicle, l’auto dialoga con altre vetture e trasmette e riceve dati. Questi posso essere fusi e integrati per fornire una visione a 360 gradi di un’area più ampia di quella immediatamente circostante.

Supponiamo ora che l’auto così strumentata sia parcheggiata in una località “sensibile” o nei suoi pressi. Il suo proprietario o chi la controlla può fare in modo che catturi informazioni dall’ambiente circostante, per esempio il traffico in entrata e in uscita compreso il tipo del veicolo e le targhe. Oppure può utilizzare i suoi microfoni per captare conversazioni. Una telecamera 4K, come quelle presenti sulle Tesla Model 3, possono prendere fotografie ad altissima risoluzione di edifici, gruppi di persone e altro. Non solo, possono memorizzarle in locale e trasmetterle quando non si trovano più in aree dove sono presenti disturbatori elettromagnetici. Non a caso, dopo appena due settimane che Tesla ha iniziato le vendite in Israele, con grande successo, i militari hanno dato voce alle proprie preoccupazioni. Risultato: è probabile che le smart car non potranno più entrare nelle installazioni militari o comunque sensibili e dovranno essere parcheggiate in aree esterne apposite servite da navette.

Il pericolo per gli israeliani è che l’auto possa essere hackerata. Per i cinesi invece le preoccupazioni sembrano altre: un mese esatto prima dell’avvertimento di Israele, infatti, il governo cinese è arrivato ad accusare Tesla di potenziale spionaggio a favore di potenze straniere (quali è semplice capirlo), proibendo il possesso e l’uso delle auto di Elon Musk da parte di militari e dipendenti di aziende di stato. Che i cinesi non temessero gli hacker è subito apparso chiaro dalla reazione di Musk, che ha garantito della sicurezza e della confidenzialità delle informazioni raccolte dai sensori delle sue auto. Ma forse le azioni cinesi hanno altre motivazioni.


Non appena apparentemente calata l’attenzione sulle presunte attività spionistiche, queste auto si sono trovate sotto attacco incrociato per questioni di assistenza e manutenzione (per la verità da sempre IL punto debole delle auto con la T) dai media e da utenti infuriati sui social media. In Cina è difficile distinguere movimenti d’opinione da campagne orchestrate dal governo. Tra l’altro, tra gennaio e febbraio, il management di Tesla in Cina era stato convocato da un comitato di governance (composto normalmente dal Ministero dell’Industria e dell’Informatica e dall’Autorità dell’Amministrazione e regolazione del Mercato, ma per l’occasione stranamente anche dal Ufficio degli Affari Cyber Centrali) riguardo a presunti problemi di qualità. Ora è noto che la qualità delle Tesla non è sempre eccelsa (eufemismo), ma la fabbrica dove questi problemi sono quasi assenti è proprio quella di Shangai. Nelle statistiche sui problemi di qualità, le Tesla Model 3 in Cina riscontrano un venticinquesimo delle segnalazioni dei due modelli di punta di Volkswagen, per esempio, e un dodicesimo delle Toyota. Eppure, in seguito alla convocazione di cui sopra, non solo Tesla ha dovuto sottoscrivere un mea culpa che aveva tanto l’aspetto di un verbale di autocritica maoista, ma ha pure dovuto ritirare 36.000 vetture per sostituire i touch-screen. Chiaramente la Casa è sotto pressione. Alcuni analisti liquidano la questione come invasioni di campo per favorire i concorrenti locali. Ma probabilmente c’è di più.


Un indizio di ciò che il governo di Pechino ha in mente viene dal contenuto, largamente ignorato, se non frainteso all’estero, di quello che va sotto il nome di New Energy Vehicle (NEV) Industry Development Plan (2021-2035), qui una sintesi e traduzione integrale in inglese https://transition-china.org/mobilityposts/china-issues-the-blueprint-for-its-electric-vehicle-and-intelligent-connected-vehicle-industry-development-for-the-next-15-years/, pubblicato lo scorso novembre. Il Piano comprende i veicoli elettrici sia a batteria che a celle a combustibile e mira a integrare tali veicoli in un "ecosistema di veicoli connessi intelligenti" entro i prossimi 15 anni. L'obiettivo finale del Piano non è altro che trasformare la Cina in una "centrale automobilistica globale" mediante il "coordinamento orizzontale e l'integrazione verticale" della singola vettura intelligente in sistemi di comunicazione, traffico, informazioni ed energia altamente interconnessi. Oltre a obiettivi relativi all’efficienza e all’autonomia, il Piano ha anche un altro obiettivo che c’entra poco con il risparmio energetico. Val pena citare integralmente (traduzione dall’inglese nostra) quello che la Cina “farà”:

Promuovere una collaborazione efficiente di "persone, veicoli, strade e servizi cloud" con i dati come collegamento. Sulla base della percezione (attenzione, NdT) del veicolo, del controllo del traffico, della gestione della città e di altre informazioni, costruire una fusione di dati multistrato e una piattaforma di calcolo ed elaborazione a più livelli comprendente "persone, veicoli, strade e servizi cloud", realizzare applicazioni dimostrative in scenari, regioni e strade specifici e promuovere veicoli a nuova energia (elettrici, NdT).

Migliorare il sistema di gestione della sicurezza della rete NEV, costruire un sistema unificato di autenticazione dell'identità automobilistica e di sicurezza, promuovere l'applicazione approfondita della tecnologia crittografica, rafforzare il sistema informativo del veicolo, la piattaforma di servizio e i test di sicurezza delle parti elettroniche chiave, rafforzare la riservatezza dei dati NEV e la sicurezza e gestione delle applicazioni di compliance, migliorare la valutazione dei rischi, monitorare gli allarmi precoci e il meccanismo di risposta alle emergenze, per proteggere la sicurezza delle informazioni di tutte le parti lungo la catena "veicolo-canali di trasmissione-cloud".

Stabilire un sistema standard completo per l'integrazione e lo sviluppo di NEV e industrie correlate e chiarire gli standard di interfaccia tecnica per i sistemi operativi dei veicoli, le mappe di base dei veicoli, la condivisione delle informazioni di ricarica dei veicoli e le piattaforme dell'infrastruttura di controllo del cloud. Stabilire una piattaforma Big Data completa e intersettoriale per promuovere la costruzione, la condivisione e l'interoperabilità comuni di tutti i tipi di dati.

Tradotto, tutti i veicoli elettrici costruiti e venduti in Cina dovranno fare parte di una rete controllata dal governo cinese che potrà essere utilizzata per il controllo del traffico ma anche per accentrare tutti i dati che gli stessi veicoli potranno raccogliere e consolidare, una rete che comprende persone oltre che veicoli, strade e servizi cloud. In pratica, ogni veicolo elettrico in circolazione in Cina diventerà una centrale di sorveglianza semovente, non solo di chi ci viaggia ma anche del mondo circostante (la “percezione” del veicolo). Anche altri costruttori stranieri hanno o avranno a breve le stesse dotazioni smart delle Tesla sulle proprie auto. Perché il governo cinese ha messo nel mirino proprio le Tesla, che alla fine vende qualche centinaio di migliaia di vetture in un mercato di molti milioni? Forse la risposta sta in un nome: Starlink, il sistema satellitare in orbita bassa di SpaceX, l’altra grande impresa di Elon Musk, che permetterà alle Tesla di collegarsi in rete in ogni parte del mondo, saltando completamente l’infrastruttura locale. Anatema per tutti gli stati che tengono sotto controllo la propria porzione di internet, fino a isolarla dal resto con portali di filtro.


Come reagirà Tesla? Per ora sembra si stia adeguando, visto che le vendite cinesi rappresentano il 30% del totale, e già ha annunciato di avere creato un datacenter in Cina per gestire i dati generati dalle sue auto in locale, dati che quindi sono sotto potenziale controllo governativo. Nel medio-lungo termine potrebbe anche abbandonare il mercato cinese, anche perché se non si adeguerà agli standard, la prima tornata dei quali entrerà in vigore nel 2025, il governo cinese potrà legalmente confiscare lo stabilimento di Shangai. Per il mondo in generale cosa significa tutto questo? Per esempio, che qualunque auto o veicolo costruito, anche fuori dalla Cina, secondo gli standard NEV e in circolazione in qualunque parte del mondo farà parte della rete NEV. Non solo, ma potrà costituire una rete NEV con gli altri veicoli NEV presenti, creando all’estero un sistema autonomo di sorveglianza controllato dal governo cinese. Paranoia? Fantascienza? Vedremo. Intanto, caveat emptor.


 

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