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Hamburger (di carne) vs Hamburger (senza carne): non solo una questione semantica

Nel 2017, nella causa tra Verband Sozialer Wettbewerb contro TofuTown, la Corte di Giustizia Europea ha stabilito che “la denominazione latte e le denominazioni riservate unicamente ai prodotti lattiero caseari non possono essere legittimamente impiegate per designare un prodotto puramente vegetale".

Vietati, dunque, il "burro di tofu", il "formaggio vegetale di soia”, il “latte di riso”, al massimo “bevanda/prodotto a base di”.


La storia si ripete nel 2019, ma questa volta riguarda gli hamburger: si può chiamare tale un prodotto che non contiene carne? Il 23 ottobre 2020 il Parlamento europeo ha detto sì, respingendo quattro emendamenti all’OCM (l’organizzazione comune dei mercati agricoli che disciplina il mercato interno all’Unione Europea) che chiedevano di evitare, per i prodotti a base vegetale, l’uso di nomi di prodotti a base di carne.


La questione della corretta denominazione dei prodotti alternativi alla carne rientra nella definizione della PAC (Politica agricola Comune) e quindi nell’organizzazione della filiera agricola nel mercato interno dell’Ue. Il Parlamento di per sé non avrebbe potuto imporre un divieto, ma l’approvazione degli emendamenti avrebbe condizionato la posizione con la quale avviare i negoziati con i singoli governi dei Paesi membri riguardo la questione. Da ottobre, quindi, nomi come hamburger vegano e bistecca vegana possano essere ancora utilizzati, almeno secondo il diritto comunitario, sono poi i singoli Stati a decidere in merito: in Francia e in Spagna, ad esempio, queste denominazioni sono vietate.


Dietro alla questione semantica c’è naturalmente altro: quote di mercato e interessi di numerose aziende, che nelle scorse settimane si sono date battaglia con dichiarazioni e campagne pubblicitarie, attraverso le organizzazioni che le rappresentano.


Da una parte la filiera della carne.

“Una bistecca vegana non è la stessa cosa di una bistecca tradizionale, da punto di vista nutrizionale. In termini di vitamine o di zinco e ferro. Questo è l’inganno nutrizionale. In questo caso il gioco è quello di creare nell’immaginario intimo del consumatore l’idea che una bistecca di soia sia naturale e sostituibile a quella tradizionale”, affermava Per Luigi Scordamaglia, presidente di Assocarni.

Su questo concetto si sono focalizzate le principali campagne pubblicitarie per l’approvazione dell’emendamento.

«Ceci n’est pas un burger», parafrasando il celebre quadro di Magritte, di Copa-Cogeca, l’organizzazione che riunisce gran parte delle associazioni di agricoltori e allevatori europee, indicava le liste di ingredienti contenuti nelle cosiddette bistecche e burger vegetali.

Una campagna simile, in Italia, è stata quella di Assocarni e Uniceb, le due principali associazioni italiane di chi lavora nella filiera della carne, in cui si chiedeva perché si chiamino “hamburger vegani” prodotti che non contengono carne visto che gli hamburger non vengono chiamati “insalata di manzo”, facendo eco alle parole di Scordamaglia “sarebbe come chiamare un hamburger insalata di carne”.


Le ragioni di queste organizzazioni sono spiegate anche in un video di Carni Sostenibili, un progetto di Assocarni, Assica e UnaItalia, qui il link.

Dall’altra parte, multinazionali come Nestlè, Beyond Meat, Unilever, Valsoia, già da tempo attive nell’industria del green food o Mushlabs, una nuova azienda che sviluppa alimenti realizzati a partire dal micelio, e organizzazioni come l’Unione vegetariana europea e Assitol, l’Associazione Italiana dell’Industria Olearia.

Queste aziende e associazioni hanno risposto alle campagne, con una lettera aperta ai parlamentari europei in cui affermavano che gli emendamenti ignoravano il fatto che usare certe parole per indicare i prodotti a base vegetale non ha lo scopo di ingannare i consumatori e fargli credere che contengano carne, ma di descrivere la forma, la destinazione e in una certa misura il sapore di questi alimenti. Inoltre sottolineavano come la denominazione potesse aiutare la transizione dell’UE verso un sistema alimentare più sano e sostenibile previsto dalla strategia della Commissione europea, che punta anche a ridurre l’impiego di carne rossa per abbattere l’impatto ambientale del sistema alimentare.


Per la LAV (Lega anti vivisezione), il riferimento ad una presunta confusione indotta nei consumatori, su cui hanno fatto leva le campagne promosse dalle organizzazioni del settore zootecnico, “è indice dal grande timore della forte e crescente consapevolezza dei cittadini europei delle ragioni dalla scelta di alimenti 100% vegetali. Si scelgono i burger o le salsicce vegan con motivazioni ben chiare, come la tutela dell’ambiente, degli animali e della propria salute, non certo perché ci si confonde tra il prodotto di origine animale e quello vegetariano o vegetale”.

Quanto poi alcuni di questi ingredienti (vedi la soia) e i processi di produzione (vedi quelli per creare la carne sintetica), siano sostenibili, è un discorso che affronteremo in una prossima newsletter. Qui intanto riportiamo le parole di Coldiretti che riferendosi alle multinazionali del green food, afferma: “Investono su carni finte, vegetali o create in laboratorio, puntando su una strategia di comunicazione subdola che approfitta della notorietà delle nostre denominazioni della filiera per attrarre i consumatori e indurli a pensare che questi prodotti siano dei sostituti, per gusto e valori nutrizionali, della carne. Permettere a dei mix vegetali di utilizzare la denominazione di carne significa favorire prodotti ultra-trasformati con ingredienti dei quali spesso non si conosce nemmeno la provenienza, visto che l'Unione importa ogni anno milioni di tonnellate di materia prima vegetale”.

Se fosse una diatriba esclusivamente terminologica, infatti, potremmo in Italia affidarci all’Accademia della Crusca per cui la parola “burger”, la più usata per indicare prodotti a base vegetale, è entrata nell’italiano molto di recente (la prima attestazione risale al 2001) e a oggi, nell’uso comune, è usata quasi esclusivamente per descrivere alimenti vegetali.

Inoltre, ci sarebbe da distinguere tra hamburger che sono prodotti per assomigliare il più possibile alla carne, e altri che invece non sembrano assolutamente fatti di carne e che hanno sapori completamente diversi. Negli Stati Uniti l’analogo dibattito sulle denominazioni riguardava principalmente i prodotti della prima categoria (nell’Unione Europea, la carne sintetica rappresenta solo l'1% di tutta la carne venduta), già più diffusi, e non tanto quelli della seconda.

Chiudo, quindi, con dei numeri che possono dare l’idea di quello che esiste dietro ad una parola: l’industria del cibo vegano produce valore per oltre quattro miliardi e mezzo, un mercato in rapida espansione grazie anche a un contesto sociale e culturale sensibile a tutto ciò che è “green”. Una delle aziende citate nell’articolo, la californiana Beyond Meat, guadagnò il 163% nel suo primo giorno di quotazione al Nasdaq di New York e raccolse dagli investitori 250 milioni di dollari a fronte di un fatturato del 2018 di soli 88 milioni e 30 di perdite.


 

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