Da vent’anni il concetto di veicoli autonomi ha conquistato l’attenzione generale, grazie soprattutto all’irruzione sui media dei droni come strumento di guerra. Fatto un po’ paradossale perché al tempo, e per la maggior parte anche oggi, i droni non erano autonomi, ma telecomandati da un pilota a terra.
Oggi di autonomia si parla in campo terrestre, dalle automobili ai veicoli industriali, in campo aereo (per lo più militare) e spaziale, e, meno noto al grande pubblico, in campo navale, sia militare che civile. Nella marina mercantile già dagli anni ’90 dello scorso secolo il livello di automazione e meccanizzazione delle funzioni di bordo è molto elevato, tant’è che la numerosità degli equipaggi si è molto ridotta. Una portacontainer da 21000 TEU (ossia in grado di portare l’equivalente in volume di 21000 container da 20 piedi, 6 metri, di lunghezza), lunga 400 metri e in grado di coprire 30000 chilometri con un pieno, oggi necessita di un equipaggio di 26 persone.
Potrebbe quindi sembrare che per arrivare a zero equipaggio bisogna solo spingere l’automazione un po’ più in là. Ma le cose non sono così lineari, e soprattutto in quali casi una nave totalmente autonoma sarebbe competitiva? La International Maritime Organization della Nazioni Unite, che si occupa di regolamentazione e standardizzazione in ambito navale, sempre prontissima, a differenza di altre organizzazioni internazionali, a intercettare i trend, ha definito nella centesima sessione del Maritime Safety Commitee una terminologia uniformata per descrivere le diverse sfumature dell’automazione navale.
Nella categoria generale delle Marine Autonomous Surface Ships (MASS) rientrano quindi quattro tipologie.
Navi con processi automatizzati e sistemi di supporto alle decisioni: c’è un equipaggio a bordo per azionare e controllare i sistemi e le funzioni di bordo. Alcune operazioni possono essere automatizzate. Questa tipologia è uno sviluppo diretto delle capacità più avanzate oggi disponibili.
Navi pilotate da remoto con equipaggio a bordo. Le persone a bordo si occupano di funzioni diverse dalla conduzione normale dell’imbarcazione. Per esempio possono costituire una squadra per situazioni di emergenza (attacchi di pirati), prendere il controllo o semplicemente sorvegliare determinate fasi della navigazione (partenza, entrata in porto, attracco, attraversamento di passaggi obbligati come stretti e canali), monitorare il carico.
Navi pilotate da remoto senza equipaggio a bordo. Quelle che potrebbero essere definite navi-drone. La nave e i suoi sottosistemi sono estesamente dotati di sensori, in grado di rilevare le condizioni ambientali e di funzionamento in tempo reale, e di attuatori, che consentono all’operatore in remoto di effettuare operazioni correttive o ispettive, anche con robot mobili. Per ridurre i requisiti di banda wireless, da qualche tempo si pensa di effettuare la gran parte delle analisi e sintesi dei dati a bordo, per inviare al centro di controllo solo informazioni elaborate.
Navi pienamente autonome. Il sistema operativo della nave è in grado di prendere decisioni e determinare azioni in modo indipendente, in seguito alla ricezione di un ordine o anche di una direttiva. In pratica è un’intelligenza artificiale che ha come embodiment una nave. Un sistema di comunicazione interno collega tutti i sensori interni ed esterni pensabili, i sottosistemi (propulsione, navigazione, carico..), gli agenti robotici. Un sistema di comunicazione esterno permette di ricevere informazioni sul meteo, sulla situazione del traffico navale, al limite anche sulle condizioni di sicurezza o politico-militari di un area attraverso cui passerebbe la sua rotta. La nave disporrebbe di agenti robotici per effettuare ispezioni e anche riparazioni fino ad un certo grado di complessità in caso di guasti e malfunzionamenti, oltre che monitorare e ispezionare il carico. Personalmente lo considero affascinante, soprattutto della personificazione (embodiment) dell’intelligenza in una macchina complessa.
Le quattro tipologie di autonomia galleggiante potrebbero essere viste come le fasi o le tappe di una roadmap tecnologico-operativa, ma la IMO evita accuratamente di farlo. Non per prudenza, ma perché pragmaticamente, da gente di mare, sa benissimo che non per tutte le situazioni la tipologia totalmente autonoma, o quella della nave drone, sarebbe la più conveniente sul piano economico, ma anche di opportunità.
Nonostante questo, esistono tecnologie il cui sviluppo è necessario per tutte le quattro tipologie. Non è il caso di compilare un trattato in questa sede, ma alcuni esempi sono interessanti per illustrare le funzioni che vanno ad abilitare. In ambito sensori, oltre a quelli elettro-ottici tradizionali (videocamere in luce visibi
le e nell’infrarosso vicino), molto lavoro si sta facendo sui LIDAR, i radar ottici nati in ambito militare e che sono adottati nei sistemi di guida autonoma delle auto e dei mezzi pesanti dai produttori che abbracciano la scuola dei sensori attivi. I LIDAR riescono a rilevare in modo accurato la dimensione in 3D e la posizione degli oggetti che si trovano attorno alla nave, indipendentemente dalle condizioni di luce. Questi sensori, che di solito sono posizionati sull’estrema prua e hanno una copertura di 360 gradi in orizzontale e di 20 gradi in verticale con una portata di 200 metri, danno il meglio quando sono integrati a livello di dati con gli input di tutti gli altri sensori di cui può essere dotata la nave. Da questa integrazione e fusione, viene costruita una visione a 360 gradi di tutto quanto sta fermo o si muove attorno alla nave. Anche solo per la prima tipologia MASS, si tratta di una funzione fondamentale, che conferisce al pilota la situational awareness totale, anche per le aree non visibili dalla sua posizione fisica. Se poi si applicano tecniche di intelligenza artificiale speciale, diventa possibile scoprire ostacoli o imbarcazioni molto piccole e basse sull’acqua (anche nuotatori) e fare in modo che il sistema li evidenzi e li segua. Dal punto di vista operativo, la navigazione in acque ristrette, nelle rade dei porti, nelle fasi di attracco e distacco, diventa estremamente più sicura.
Un secondo ambito tecnologico di sviluppo in ambito MASS è il geoposizionamento di altissima precisione della nave come “oggetto” con un ingombro 3D. In mare aperto le basi sono sempre i sistemi di navigazione satellitare (GNSS), come il GPS e Galileo. Questi ormai sono in grado di fornire posizione, velocità e direzione del ricevitore con una precisione di 30 centimetri usando i nuovi satelliti con trasmissione a doppia banda. Essendo le navi oggetti molto più ingombranti di un umano con uno smartphone, per avere la posizione nello spazio di una portacontainer da 400 metri per 65 per 40 occorre fondere il modello della superficie esterna con la posizione del ricevitore, calcolando la posizione assoluta dei limiti della nave. All’interno di un’area di attracco, l’ambiente è molto affollato e generatore di riflessioni e falsi echi del segnale satellitare. Le prestazioni si degradano un po’, abbastanza da non rendere affidabile il solo posizionamento satellitare per operazioni complesse come l’attracco o l’accosto ad una bettolina. Per questo si pensa di utilizzare servizi 5G locali per connettere miniradiofari IoT e creare una specie di griglia di posizionamento di porto. Con questo si può pensare di effettuare, almeno in certe condizioni, operazioni di attracco totalmente automatiche.
Senza andare così in là, anche per la prima tipologia MASS, disporre di modelli di ingombro geoposizionato molto preciso di un nave consentirebbe di applicare soluzioni di realtà aumentata da mettere a disposizione del pilota umano. Quest’ultimo vedrebbe il mondo esterno allo stesso modo di giorno e di notte e in condizioni atmosferiche avverse. In acque ristrette sarebbe estremamente utile, per esempio segnalando passaggi interdetti, fondali troppo bassi (il modello di ingombro tiene conto anche dell’altezza e del pescaggio della nave). Ma anche in mare aperto avrebbe dei vantaggi. Inserendo le carte nautiche, per esempio, verrebbero segnalati e descritti ostacoli sommersi ben prima che un eventuale sonar (quasi nessuna nave civile ne dispone) lo rilevi. Inoltre, essendo i modelli ambientali totalmente digitali, il sistema può automaticamente fare scattare allarmi (anche molto “invasivi”) e persino avviare manovre, anche senza intervento umano. In altre parole, con un sistema del genere, che è già tecnologicamente fattibile, il naufragio della Costa Concordia non sarebbe mai accaduto, Schettino o non Schettino.
Come si vede, le navi completamente autonome potrebbero avere un’applicazione limitata e lontana nel tempo, ma le tecnologie di base sono utili anche a un capitano o pilota umani.
(Marco Comelli)
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