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Fare il pane con l'aria, versione XXI secolo

Per traghettare il mondo e noi tutti verso una civiltà a basse emissioni di CO2 è necessario ben altro che guidare automobili elettriche. Gran parte dei processi industriali richiede calore ad alte temperature e si basa su materie prime che vengono estratte o ricavate con grandi emissioni dirette di anidride carbonica. La carboneutralizzazione dell’industria è quindi un fattore decisivo per la transizione ad una economia e una società a basse emissioni. Ne parleremo estesamente nel corso di ZeroEmission 2022 a Roma dal 12 al 14 ottobre, Fiera di cui curiamo l’agenda dei contenuti. Diamo qui un’anticipazione di uno tra i più importanti (se non il più importante) dei processi industriali sui cui in tutto il mondo ricercatori e aziende stanno lavorando.

Il mondo contemporaneo è figlio di una serie di invenzioni e scoperte che si sono succedute nel corso dei secoli, spesso concatenate tra l’altro, così che è difficile individuarne di veramente decisive. Se dovessimo però indicarne una senza la quale il nostro mondo sarebbe molto diverso punteremmo senza dubbi sulla sintesi dell’ammoniaca (NH3) a partire dai suoi componenti: idrogeno ed azoto. Per precisione sarebbe da dire “sintesi su scala industriale”, perché a livello di laboratorio la possibilità era nota da tempo. L’innovazione ha la data del settembre 1913, quando entrò in funzione lo stabilimento di Oppau della BASF, oggi nella Renania-Palatinato ma allora nel Reno di Baviera. Al tempo la BASF era la più grande azienda chimica al mondo e nei cinque anni precedenti aveva investito pesantemente nel settore della fissazione dell’azoto per produrre fertilizzanti, partendo dal processo sperimentale messo a punto dal chimico Fritz Haber all’Università Tecnica di Karlsruhe e reso industriale da Carl Bosch, che in quel momento lavorava in BASF. Il lavoro valse ad Haber il premio Nobel per la chimica nel 1918. Bosch dovette attendere il 1931 per riceverlo in coppia con un altro gigante della chimica industriale, Frederich Bergius. La rivista Nature ritiene che Haber e Bosch siano le persone che più hanno influito sulla storia del XX secolo e che il loro lavoro sia stata la più importante invenzione del secolo.




Senza entrare nei dettagli, all’inizio del secolo scorso la concimazione azotata era già molto diffusa ma si usavano fonti “fossili”, ossia i giacimenti di guano del Cile e delle isolette della costa su fino al Perù. Già le civiltà precolombiane delle Ande praticavano la concimazione azotata per mantenere elevati livelli di resa delle colture sui terreni poveri di montagna (patate e quinoa). Alcuni studiosi ritengono che una struttura ad elevato consumo di risorse come l’Impero Inca sia stato resa possibile in un ambiente così difficile solo grazie alle rese agricole relativamente più elevate consentite dall’apporto artificiale di azoto. É poco noto ai più che a metà dell’800 si susseguirono due guerre che si possono definire “per il guano”, quella del 1864-1866 e quella più ampia del 1877 al 1884, detta Guerra del Pacifico, che coinvolse Bolivia, Cile e Perù e fece 18.000 morti.

Già nel 1898, di fronte alla crescita della popolazione e dei consumi, era divenuto chiaro che i nitrati cileni non erano inesauribili. In una famosissima conferenza tenuta nell’estate di quell’anno Sir William Crookes, chimico-fisico eminente e allora presidente della British association for the advancement of science, prospettò che se non si fosse riusciti a trovare un’alternativa per la concimazione azotata il mondo sarebbe andato incontro a carestie catastrofiche già negli anni ’30 del secolo successivo. La soluzione, secondo Crookes, era quella di trovare un modo di fissare l’azoto dell’aria in una forma, solida o liquida, che fosse biodisponibile, ossia che potesse essere assorbita dai vegetali. Ossia, come disse in sintesi, fare il pane con l’aria. Una di queste forme è appunto l’ammoniaca. La conferenza ebbe un’enorme eco, anche perché fu riportata nella sua interezza su due numeri della rivista Science. E molti ricercatori si misero al lavoro su diverse piste.

Facciamo un salto di cento anni e arriviamo a oggi. In questo arco di tempo si calcola (i conti li ha fatti la rivista Nature nel 2008) che circa la metà della popolazione mondiale vivente e vissuta dal 1913 debba la propria esistenza al processo Haber-Bosch (un altro 25% si può attribuire al miglioramento delle tecniche agricole e alla selezione genetica, soprattutto alla Rivoluzione Verde degli anni ’60). Il processo, con successivi miglioramenti, oggi garantisce la produzione di 200 milioni di tonnellate l’anno di ammoniaca, di cui almeno quattro quinti sono destinati al settore dei fertilizzanti. L’1% dell’energia consumata e l’1,4% della CO2 emessa ogni anno deriva dalla produzione di ammoniaca. L’energia è necessaria perché il processo, sebbene enormemente migliorato da questo punto di vista nel corso di un secolo, richiede comunque temperature e pressioni elevate. L’anidride carbonica invece proviene in gran parte dal modo in cui si ricava l’idrogeno oggi su scala industriale, con il reforming del metano (la molecola che contiene più idrogeno a parità di massa).




Vista l’importanza dell’ammoniaca nella produzione di cibo (e anche di esplosivi, ma questo è un altro discorso) da un ventennio sono in corso ricerche per trovare alternative “green” all’Haber-Bosch. Il problema in realtà è doppio: il processo in sé e le materie prime, soprattutto l’idrogeno. Sul piano teorico ma anche pratico la seconda parte ha una soluzione “semplice”: l’elettrolisi dell’acqua, alimentata da elettricità da fonti carbon-neutral. L’idrogeno prodotto da queste fonti, definito verde, rosso o ardesia (da biomasse) deve però essere sempre unito all’azoto, proveniente dall’aria attraverso la sua liquefazione ed evaporazione frazionata (l’ossigeno evapora prima dell’azoto). L’azoto si presenta come molecola biatomica, con un legame molto forte che richiede energia per essere spezzato e avviare la reazione con l’idrogeno. Uno dei primissimi metodi per la sintesi dell’ammoniaca prevedeva l’utilizzo di scariche elettriche ad altissima tensione, un processo estremamente costoso e che infatti ha avuto qualche successo solo in Norvegia, ricchissima di energia elettrica da idroelettrico.

Avendo idrogeno prodotto da fonti carbon-neutral a disposizione, si può pensare di creare una versione elettrificata del processo Haber-Bosch, e in effetti diversi filoni di ricerca in questa direzione sono in corso. Per generare le temperature necessarie si ricorrerebbe alla combustione dell’idrogeno. Un’altra strada è invece ricorrere ad un uso sofisticato delle reazioni catalitiche, ossia mediate da una sostanza che accelera la reazione tra azoto e idrogeno. Anche Haber-Bosch usa un catalizzatore di magnetite drogata (ossia con l’aggiunta di piccolissime quantità di altri elementi), ma nei processi di cui stiamo parlando la sua importanza è fondamentale.

L’alternativa catalitica, oggi perseguita in tutto il mondo, è quella della reazione elettrochimica catalitica (le altre sono quella bio-chimica e foto-chimica), ossia facendo gorgogliare un flusso di azoto all’interno di un elettrolita ricco di idrogeno (tecnicamente, che metta disposizione protoni, ossia atomi di idrogeno carichi positivamente) in presenza di corrente elettrica e un catalizzatore. Proprio in questo ambito negli ultimi mesi si è verificato un salto nelle prestazioni. Un gruppo di ricercatori dell’Università Monash, in Australia, ha messo a punto una cella con un rendimento vicino al 100%, ossia con praticamente tutta l’energia immessa che si traduce in produzione di ammoniaca. La chiave è un catalizzatore al litio con un elettrolita drogato con un composto chimico (bis(trifluoromethylsulfonyl)imide, per i curiosi) che inibisce il rilascio di idrogeno molecolare (H2). Inoltre, i ricercatori australiani sono anche riusciti, col medesimo elettrolita, a inibire l’avvelenamento degli elettrodi da parte degli ioni di litio metallico che si distaccano dal catalizzatore.

Può sembrare un progresso molto tecnico, ma il fatto che sia stato dimostrato che una reazione elettrocatalitica produca ammoniaca in modo continuato, con basso consumo energetico e senza degrado del sistema, è un enorme passo in avanti. Ma, direte voi, questo sistema è scalabile, riesce a produrre le migliaia di tonnellate al giorno come un singolo reattore Haber-Bosch è in grado di fare. Qui scatta la possibile rivoluzione, forse quella vera. Date le dimensioni ridotte, le basse temperature e i bassi consumi sia di energia che di materia prima, queste celle elettrocatalitche si presterebbero alla produzione distribuita di ammoniaca, su scala di qualche decina di chilogrammi al giorno, più che sufficienti alle esigenze della maggior parte delle aziende agricole. Anche la sorgente di elettricità potrebbe essere distribuita, come pannelli solari, pale eoliche, con accumuli elettrici a batterie, oppure biomassa per la produzione di biogas e cogenerazione.

Attenzione: ciò non significa che si arriverà ad una “indipendenza del piccolo contadino”. Per fare solo un esempio, l’azoto da qualche parte deve arrivare e un sistema di separazione frazionata non costa due euro. Ancora troppo presto per capire se la strada aperta dagli australiani sarà quella vincente. Anche un processo Haber-Bosch elettrificato può essere molto più piccolo di uno tradizionale e se devi comunque ricorrere ad una fonte esterna per l’azoto, la stessa può fornire anche l’idrogeno. Oppure si può avere un elettrolizzatore sempre alimentato a carbon-neutral distribuite. Una bella competizione, perché alla fine non importa chi arriverà prima al traguardo di fare il pane con l’aria in modo adatto ai nuovi obiettivi del mondo nel XXI secolo.




 

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