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Politica in vendita

"La politica vende un prodotto astratto ed intangibile, carico di valore, che contiene un insieme di promesse per il futuro, un insieme determinato di attraenti visioni della vita individuale e associativa, un qualcosa la cui soddisfazione non è immediata ma di lungo termine, vaga ed incerta." (da L’apparenza e l’appartenenza: teorie del marketing politico, Patrick Butler).


Ecco perché la politica è uno dei “prodotti” che più ha bisogno di branding e di marketing.

Per capire come (e perché) funziona questa combinazione, dobbiamo fare un rapido viaggio negli Stati Uniti. Anche in Italia e in altri Paesi esiste il marketing politico, corsi di laurea dedicati e agenzie specializzate, ma se pensiamo a casi nostrani al massimo ci vengono in mente i cartelloni da campagna elettorale, i “santini” infilati nella buca delle lettere, l’uso dei social network da parte di personaggi e partiti e, risalendo ai primi anni ’90, lo spot di un giovane Berlusconi.

Gli USA vantano invece una lunga e consolidata tradizione nella costruzione di brand politici e di coinvolgimento del target (elettori), pari a quello messo in campo dai grandi marchi di largo consumo.

Branding e marketing nell’ambito politico seguono esattamente le stesse leggi del branding e del marketing in qualsiasi settore merceologico, ma proprio perché la politica è “un prodotto astratto ed intangibile”, necessita di concretizzarsi in qualcosa. Questo spiega forse perché, in un tempo basato sulla comunicazione digitale, sull’online, negli Stati Uniti sono ben lontani dall’abbandonare il merchandising.

Prima del merchandising ci dev’essere però qualcosa da vendere: Obama, Trump, Ocasio-Cortez sono esempi straordinari di come alcuni politici, guidati sapientemente dalle strategie di spin doctor, diventano brand attorno ai quali costruire campagne elettorali, come un’agenzia pubblicitaria crea campagne di advertising per un prodotto.

Analisi del contesto, del target, della concorrenza, progettazione grafica, studio dello slogan, focus group, sentiment anlisys,. E poi tanti gadget. Perché l’oggetto rende visibile l’appartenenza a un gruppo e concrete e vicine quelle “attraenti visioni della vita individuale e associativa”.

In più è uno strumento di marketing diffuso: gli shop online dei candidati sono presentati come strumenti di raccolta fondi, ma la maggior parte degli acquirenti sono “piccoli donatori” (spendono solitamente meno di 200 dollari e, ad esempio, alla lotteria “Dinner with Barack”, era possibile partecipare con un’offerta anche minima, dai tre ai cinque dollari). Il valore aggiunto (per il politico) di questo meccanismo di ricompensa (per l’elettore) è che il donatore porta in giro il “messaggio”, l’intenzione di voto, stampato su una spilletta, una t-shirt, un cappellino, su adesivi... Addirittura anche il proprio amico a quattro zampe può contribuire, com’è stato con la maglietta per cani “I bark for Barack” disegnata da Mark Jacobs in vendita per 40 dollari.



La leva all’acquisto è sintetizzata perfettamente dalla scritta che apriva l’e-commerce del candidato democratico: “Possiedi un pezzo di questa campagna”.

Naturalmente gli oggetti in vendita sulle piattaforme dei diversi schieramenti riflettono l’elettorato e se sullo store di Obama si trovavano tutine per bambini con la scritta I miei due padri/le mie due madri supportano Obama e borracce ecologiste, su quello dello sfidante repubblicano Mitt Romney si potevano ordinare t-shirt con I’m a mom for Mitt o Believe in America e, in tempi più recenti, su quello di Ocasio-Cortez si vendono oggetti realizzati da artisti di colore indipendenti.



Spesso è lo slogan della campagna elettorale, frutto di studi e ricerche molto approfonditi, a essere riportato sugli oggetti in vendita: si pensi, ad esempio, al Make America great again dei cappellini di Trump o all’iconico Yes, we can: frasi che diventano potenti anche in virtù della loro ripetizione in loop ai comizi e riproduzione su qualsiasi supporto disponibile.



Tronando in Italia, gli esempi, come si diceva all’inizio, non sono molti: anche se alcuni partiti hanno messo dei prodotti nelle loro vetrine (su siti web e facebook), è molto difficile incrociare per strada qualcuno con una t-shirt o un cappellino brandizzato politicamente, anche in piena campagna elettorale.

Andando indietro con i ricordi, forse, l’esempio di marketing e merchandising politico italiano più evidente, da moderna community, l’ha offerto quella che era la Lega di Umberto Bossi con gli elettori che ai raduni, ma non solo, non si facevano mancare un capo di abbigliamento del verde d’ordinanza.



 

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