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Il caviale del futuro farà bene al portafoglio, alla salute e alla coscienza.


Quando 25 anni fa gli autori stavano raccogliendo materiale per il loro Last Dinner on the Titanic: Menus and Recipes from the Legendary Liner, bellissimo ibrido tra piccolo trattato di storia e ricettario tarda Belle Epoque, rintracciarono una delle ultime superstiti della prima classe del viaggio inaugurale del mitico transatlantico. Naturalmente la signora si rivelò una miniera di informazioni, ma una colpì particolarmente chi scrive: il sapore del caviale di allora, pre-pastorizzazione, non aveva nulla a che vedere (in positivo, evidentemente) con quello attuale.


Chissà se tra le caratteristiche di quello che sta sviluppando Kenneth Benning, CEO di Exmoor Caviar, il più grande produttore di caviale del Regno Unito, ci sarà anche quella del sapore sublime. L’azienda, il cui allevamento sta nelle campagne del Devon e rifornisce hotel e ristoranti stellati, non è un produttore come gli altri (ricordiamo che il maggiore produttore di caviale del Vecchio Continente è l’Italia). All’attività tradizionale infatti si affianca una società biotech, la Exmoor Biotec, che lavora le sacche che contengono le uova (o meglio gli oociti, ossia le uova non fecondate) che costituiscono il caviale e ne estrae un olio che fornisce a società farmaceutiche e cosmetiche. L’olio di caviale infatti contiene una grande percentuale di omega-3 e altre sostanze.


Benning è un imprenditore dallo sguardo lungo. Ha infatti capito che nella classe sociale che oggi consuma caviale i modi di ostentare il proprio status stanno cambiando. Dai cibi e dalle bevande costose ci si sta spostando infatti verso cibi e bevande altrettanto costose che però permettono di dire che consumandole si fa bene al pianeta e non si fa del male a nessuno. Non è che l’allevamento degli storioni da caviale e le operazioni per estrarre le uova facciano del male ai pesci, se l’allevamento è fatto bene, ma oggi sta crescendo nel mondo il consumo di caviale “basico” proveniente dalla Cina dove le modalità di trattamento degli storioni sono molto più “disinvolte”. Benning quindi intende mettere al riparo il suo settore da accuse di “crudeltà”, anche in vista del significato estensivo che la parola sta assumendo nel linguaggio “woke”. Per questo ha avviato nella sua azienda Biotec tre progetti di ricerca e sviluppo.

Il primo, caviale fusion uno, utilizza le proteine e i lipidi della sacca che contiene le uova e con una tecnologia di “sferificazione” li trasforma in finte uova, una specie di caviale rigenerato usando le materie prime del caviale. Questo prodotto è praticamente pronto per la commercializzazione e già dai prossimi mesi comincerà ad apparire sugli scaffali dei supermercati, per fare concorrenza ai diversi “caviali” alternativi già esistenti, basati su uova di lompo, di trota o di salmone.


Il caviale fusion due prevede la crescita delle proteine e dei lipidi delle sacche all’interno di bioreattori per produrre una polvere proteinica senza l’uso di cellule e di animali. Una specie di caviale vegano senza vegetali.


Il caviale fusion tre è il progetto definitivo. Si tratta di un vero caviale cresciuto in vitro: le cellule che originano le uova vengono poste in bioreattori con ormoni, proteine e altre sostanze e fatte moltiplicare e crescere. L’idea di Benning è quella di riuscire a produrre grandi quantità di cavale coltivato in un tempo molto inferiore a quello oggi necessario e a costi inferiori con la stessa qualità o migliore. Lo storione da caviale richiede da 7 a 35 anni per iniziare la produzione una volta avviato l’allevamento del singolo pesce. L’obiettivo è una produzione nell’arco di tempo compreso tra 10 e 99 giorni di 500 Kg di prodotto utilizzando un impianto di 300 metri quadrati di superficie. Con queste quantità, sarebbe possibile produrre in un anno quanto tutti i concorrenti messi assieme. Questo caviale coltivato costerebbe più dei caviali alternativi ma meno del prodotto cinese, che oggi si rivolge alle nuove classi medie asiatiche che vogliono dimostrare il proprio status e a quelle russe che hanno visto moltiplicarsi il prezzo di quello nazionale (negli anni ’80 si producevano 8000 tonnellate di caviale l’anno).

I prodotti fusion due e tre saranno pronti entro la fine dell’anno e saranno commercializzati entro due anni. Prima infatti devono passare la trafila di approvazione come novel food.


Rispetto ad altri tipi di carne coltivata in produzione o in studio (diversa dalla fake-meat a base di proteine vegetali e additivi), il caviale in vitro è molto più semplice da realizzare e ha le stesse qualità organolettiche di quello da pesce senza dover ricorrere a procedimenti complessi di testurizzazione e crescita differenziata. Inoltre, il processo di produzione permette un controllo totale sul risultato. A livello base, consente di regolare la dimensione delle uova, con quelle più grandi considerate più pregiate. Inoltre, è relativamente semplice produrre tutti i tipi di caviale, da quello beluga, che ha un sapore più ricco e una tessitura cremosa, a quelli sevruga e osetra. Non solo, ma si possono produrre caviali identici a quelli di specie a rischio d’estinzione, come anche quelli degli storioni selvaggi, il cui commercio è proibito da vent’anni. Il caviale selvaggio ha un profilo di acidi grassi diverso da quello del caviale allevato e in vitro è facilmente riproducibile. Sempre sull’onda del recupero di esperienze di gusto non più possibili in via convenzionale, il caviale coltivato in vitro cresce in un ambiente sterile e quindi non ha bisogno di antibiotici e di pastorizzazione.

Non basta. Il caviale contiene molte sostanze utili, non solo l’omega-3 già citato. Avendo il controllo sulla crescita, è possibile aumentare le percentuali di questa o di quella sostanza, esattamente come si fa nelle colture idroponiche con i vegetali. Sarebbe anche possibile avere nello stesso prodotto sostanze utili che normalmente si trovano solo in varietà diverse. In questo modo il caviale da cibo gourmet potrebbe diventare anche un alimento funzionale. Contiene per esempio uno degli antiossidanti più potenti conosciuti, la superossido dismutasi. Aumentando la produzione scenderanno di conseguenza i prezzi: lunga la strada dal cibo da ricchi che era. Decisamente, il buon Benning vede lontano dal suo Devonshire.


 

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