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Generazione eCommerce

Nel 1994: va inonda la prima puntata di Friends, viene pubblicato il primo banner pubblicitario, viene inaugurato il tunnel della Manica, nasce Justin Bieber, l’imprenditore Dan Kohn vende, tramite il portale Net Market, il cd di Sting “Ten Summoner’s Tales” per 12.48 dollari. Se vogliamo escludere le prime sperimentazioni di Electronic Data Interchange e l’elaborazione delle transazioni, attraverso la linea telefonica (più comunemente note come teleshopping), in quel momento è nato l’e-commerce.



Nello stesso anno Jeff Bezos, nel suo garage, fonda Amazon, l’anno dopo va online eBay e nel 1999 è la volta di Alibaba.

Facciamo un salto temporale a inizio 2020: si diffonde nel mondo pandemia di COVID-19, vengono messe in atto in tutti i Paesi misure di lockdown, le saracinesche delle attività commerciali si abbassano, alcune in modo definitivo. Contemporaneamente, nel primo trimestre 2020: Amazon ha un utile di 2,5 miliardi di dollari, eBay 485 milioni di dollari, Alibaba aumenta i ricavi del 22% su base annua.

In Italia, durante il fatidico primo quadrimestre del 2020, i servizi di e-commerce sono stati usati da 2 milioni di italiani contro i 700 mila dello stesso periodo del 2019.





Molte aziende che erano abituate ad affidarsi principalmente alla rete di distributori fisici hanno rivoluzionato la propria organizzazione, dalla comunicazione al marketing fino alla logistica. A cambiare in tempi record sono state soprattutto le modalità di spedizione e di consegna: dal click&collect (ordinare online un prodotto e ritirarlo in negozio, formula che ha ottenuto un aumento delle transazioni del 349%), al proximity commerce (integrazione tra i grandi player del commercio elettronico e i piccoli negozianti, i quali, grazie alle piattaforme di delivery, hanno potuto raggiungere i clienti nelle zone limitrofe), ritiro in locker (punti di ritiro self-service).

Inoltre, se in un primo momento gli aumenti si sono verificati solo in determinati settori, presto si sono allargati a tutti gli ambiti del commercio. Secondo i dati rilevati su Netcomm: cibi +130%, prodotti per animali +154%, prodotti per la cura personale +93%, per la cura domestica +126%.


In un’indagine condotta da Mastercard relativa alla prima metà del mese di maggio 2020, oltre la metà degli acquirenti italiani ha dichiarato di fare numerosi acquisti online (59%), relativi a beni di prima necessità (il cui acquisto online aumenta del 44%). Seguono attività di intrattenimento (il 36%) dalla visione di film e serie TV alle lezioni di cucina, passando per sessioni di fitness virtuali. Lo stesso trend si registra in tutta Europa, dove il dato si attesta al 57%.


Quindi dicevamo: molte saracinesche reali si abbassano e aprono nuove vetrine virtuali. Inditex, proprietaria dei marchi Zara, Bershka, Pull & Bear e Massimo Dutti, ha avuto un calo di vendite del 44%, pari a una perdita netta di 409 milioni di euro nel primo trimestre 2020. L’eCommerce, d’altra parte, è aumentato del 50% rispetto all'anno precedente nel corso del trimestre e del 95% rispetto all'aprile 2019. Ecco che il gruppo ha investito un miliardo di euro sull’eCommerce e di 1,7 miliardi nella trasformazione dei negozi in centri di distribuzione per il ritiro degli acquisti online.


Campari entra nel mercato del commercio elettronico con l’acquisto del 49% di Tannico, il più grande portale eCommerce dedicato a vini, spumanti e alcolici (nel 2019 la società ha messo a segno vendite nette per un totale di 20,6 milioni di euro con un tasso di crescita annuo del 50% nell’ultimo triennio). “Quale parte essenziale del nostro percorso di trasformazione digitale, l’eCommerce costituisce un canale strategicamente rilevante per il nostro business.”, ha commentato l’amministratore delegato del gruppo Campari, Bob Kunze-Concewitz.

Se il lockdown ha sicuramente accelerato il processo di digitalizzazione del commercio, l’eCommerce aveva già terreno fertile: come ha osservato Beppe Severgnini in un articolo sul Corriere della Sera “La società occidentale si impigrisce in modo progressivo e rapido. Andiamo sempre meno verso le cose, pretendiamo che le cose arrivino a noi: cinema (Netflix, Apple TV), musica (Spotify, YouTube), racconti (Audible, Storytel), libri (Amazon), calcio (Sky Sport), cibo (Glovo, Deliveroo), vino (Vivino), auto (Car2Go), informazione (dal Corriere a Twitter), amicizie (Facebook, Instagram e compagnia). Era chiaro che sarebbe accaduto con gli acquisti, appena i sistemi di pagamento e le consegne fossero diventati rapidi, sicuri ed efficienti. A quel punto si innesca un meccanismo implacabile: i negozi fisici perdono clienti e fatturato; la spinta verso l’ecommerce aumenta”.


Il Registro Imprese conferma questo andamento: rispetto all’offline, che negli ultimi 10 anni ha visto scomparire circa 63 mila negozi (-11%), in tutto il 2019 le imprese che si sono registrate con codice ATECO relativo al commercio online (primario o secondario) sono 6.968, ovvero il 20% in più rispetto a quelle registrate nel 2018.


Considerato che nel mercato è difficile che la domanda torni a uno stadio precedente e che i clienti si abituano presto a nuovi tipi di servizi e relazioni con le aziende, si rende imprescindibile un’implementazione delle tecnologie, la formazione di nuove professionalità e il rinnovo di tutti i processi che compongono la filiera del digital retail.

Per quanto riguarda le tecnologie, lo scorso maggio, la milanese Checkout Technologies, che permette servizi di automazione nel retail, è andata alla statunitense Standard Cognition. Alcuni negozi hanno optato per tecnologie come quelle sviluppate da Stentle che ha installato degli smart mirror touch che consentono di fare richieste ai commessi dai camerini. Il fondatore Alessio Cassani afferma che “la soluzione non è convertire il commercio tradizionale a eCommerce, ma digitalizzare parte dell’esperienza”.


Si trova forse quella via di mezzo tra negozi fisici chiusi vs eCommerce, proprio nell’omnicanalità, ovvero l’integrazione tra commercio fisico e digitale, con tutte le sfumature testimoniate dalle espressioni e neologismi che già hanno fatto la loro apparizione: video-boutique, 3d commerce, live stream shopping, unified commerce, everywhere commerce, dove il commercio elettronico si fa ovunque: dai social network, ai punti vendita fisici digitalizzati, fino alla trasformazione dei device in piattaforme di acquisto automatico attraverso l’IOT.






Abbiamo nominato i social network? Secondo Forrester Research il 30% di chi fa acquisti online lo farebbe volentieri attraverso i social, il 23% già dichiara di essere influenzato dalle raccomandazioni dei social per gli acquisti. Ed ecco che all’appello non si fa certo trovare impreparato Zuckerberg: dalla prima metà di maggio, Facebook ha iniziato a implementare la sezione “Shops” all’interno delle Pagine, una vetrina dalla quale mettere in vendita direttamente i propri prodotti e raggiungere una platea teoricamente di 3 miliardi di utenti in tutto il mondo. Nei prossimi giorni l’offerta sarà arricchita con funzionalità come la vendita di prodotti nel corso delle dirette di Instagram e la possibilità di integrare le chat di WhatsApp, Messenger e Instagram Direct per gestire l’assistenza clienti e chiudere l’acquisto direttamente sulla piattaforma social, senza che l’utente venga reindirizzato verso altri siti o servizi di pagamento.

La rivoluzione digitale del commercio ha accelerato il ritmo ed è probabile che in un tempo non troppo lontano, i figli di quei figli pazienti del lockdown dovranno insegnare ai propri genitori nuovi modi di acquistare, mentre loro ricorderanno con un po’ di nostalgia le code alle casse dei supermercati alle 18 e quelle ai camerini il sabato pomeriggio.


(Stefania Nano)




 

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